CASTELLI DI CARTA – di L. A. Santoro

L AQUILA - TENDOPOLI - BAMBINI GIOCANO CON I CLOWN

“La terra minaccia rovina più spesso di quanto non abbia ad attuarla.”. Così Lucrezio nel Libro sesto del De rerum natura, dopo aver assolto gli dei dalla responsabilità dei disastri naturali, sembra voler rassicurare gli uomini intorno all’eccezionalità dei terremoti. Ma nei luoghi in cui questo accade, i tetti si abbattono dall’alto e la terra sembra venire a mancare sotto i piedi, producendo così “mundi confusa ruina”, una confusa rovina del mondo. E’ questa “rovina confusa” che ci segnala la zona oscura del mondo: una zona che resiste ad ogni spiegazione, che come Proteo si ribella ad ogni rete tessuta dal pensiero logico. Perfino l’idea della causa divina si ritrova intrappolata nell’ossimoro, nel nodo inestricabile dell’infinita bontà che si rovescia in crudeltà senza giustificazione. E a questa condanna non riesce a sfuggire nemmeno la scienza che balbetta tra diagrammi d’innocue scosse già avvenute e il fantasma della scossa devastante che danza sulla risacca del futuro fra effluvi di gas radioattivi e fremiti inconsueti d’animali. L’unica difesa dalla confusa rovina del mondo rimane, allora, il racconto. Ad iniziare da quelli più lontani nel tempo – quello di Tera, braccato dagli archeologi o quelli di Sidone in Siria e di Egio nel Peloponneso, citati da Lucrezio -, fino a quelli più recenti di Messina, dell’Irpinia, del Friuli nei quali hanno frugato, insieme ad occhi umani, anche gli occhi vitrei delle cineprese e delle telecamere. Ma la storia dei terremoti non è la spiegazione della confusa ruina, così come il racconto di chi è uscito indenne non basta a giustificare la morte di chi è rimasto sepolto sotto le macerie. Si tratta sempre e comunque di un congegno che s’inceppa; il procedere di un discorso che esita, inciampa e che prima o poi svapora di fronte al baratro dell’inspiegabile resistenza di un mondo che volevamo credere prevedibile e comprensibile e che invece ha fatto emergere nella nostra città, nel nostro quartiere, nella nostra casa, nella nostra stanza, nel nostro riposo una forza cieca, oscura, insensata, capace di annullare in pochi minuti secoli di storia e fasci di storie facendoci riscoprire la solidarietà dei naufraghi sulle zattere – faglie della madre/matrigna Gea. Ma anche sugli orli della solidarietà possiamo intravedere strappi, lacerazioni, ferite profonde. Hanno la forma delle scarse, esili, arrugginite barre di ferro che sporgono dalle colonne sbriciolate di cemento; degli sguardi sghembi di chi ha progettato, costruito, autorizzato quei castelli di carta…Per cosa? Per un rolex, un fuori strada e un’amante? Per una poltrona nel Palazzo? Per trenta denari? No, i morti non sono a carico della madre Terra: purtroppo hanno sembianze umane.