Laboratorio Teatrale

Il Laboratorio teatrale è prima di tutto un metodo per conoscere il mondo; il metodo si basa sulla capacità di mettere a fuoco gli oggetti e le persone, ma soprattutto le relazioni fra gli oggetti e tra le persone. E’ anche un luogo dove sperimentare il metodo attraverso la rappresentazione partecipata e il vissuto rappresentato.
Lo strumento privilegiato è l’improvvisazione, cioè una sequenza di azioni nel corso della quale il tempo fra lo stimolo e la reazione è minimo. Nel laboratorio si fanno reagire le conoscenze attraverso le emozioni. E viceversa. Nel laboratorio i giudizi sono sospesi. Creare una situazione non giudicante è una condizione indispensabile perché ciascuno si accetti e accetti gli altri nella prospettiva di cambiarsi e cambiare. E’ anche il luogo dal quale inizia l’esplorazione della rete che connette le cose del mondo e nel quale si progettano e sperimentano nuove maglie. E’ un telaio collettivo col quale ciascuno può tessere una parte del disegno.

Il diario di Bordo
I diari di bordo sono appunti di un viaggio. Il laboratorio è come una nave, i partecipanti sono i viaggiatori, i pensieri sono come il mare. Scorrono, e mentre scorrono raccontano di incontri e scontri, arrivi e partenze, incidenti e accidenti.
Il diario di bordo serve per tenere sempre a mente i pensieri, ricordarci e narrarci, chi siamo nel laboratorio, cosa vediamo dal laboratorio, le parole tra- scritte sono il copione che non seguiremo, sono la drammaturgia di un’esperienza che non insceneremo.
Tutti scrivono i propri diari di bordo, insegnanti, alunni, genitori, nessuno può partecipare ad un laboratorio senza lasciare tracce di se.
La frase di Mejerchol’d “ il teatro è l’arte dell’uomo” ha senso solo se “il teatro tratta dell’uomo. Parla di lui, discute di lui, narra di lui, esplora le sue profondità, insegue le sue altezze e lo fa per mezzo dell’uomo. Come posso parlare con questo di questo io? Come posso, con questo io catturare le profondità di questo io, la sua essenza? Come può questo io creare i racconti, essere in quei racconti che crea, ed esserli, quei racconti?
Il nostro laboratorio viene incentrato sui sensi, sul mettersi in contatto con l’altro, per andare oltre.
Ogni mio atto rivela infatti che la mia presenza è corporea e che il corpo è la modalità del mio apparire. Questo organismo, questa realtà carnale, i tratti di questo viso, il senso di questa parola portata da questa voce non sono le espressioni esteriori di un Io trascendentale e nascosto, ma sono io, cosi come il mio volto non è un’ immagine di me, ma sono io stesso.
Nel corpo, c’è perfetta identità tra essere e apparire e accettare questa identità è la prima condizione dell’equilibrio.
Non esiste un pensiero al di fuori della parola che lo esprime, perché, solo abitando il mondo della parola, il pensiero può risvegliarsi e farsi parola. Allo stesso modo non esiste un uomo al di fuori del suo corpo, perché il suo corpo è lui stesso nella realizzazione della sua esistenza.
Se non accetta la totalità di questa presenza e la sua ambivalenza è impossibile accedere alla comprensione della realtà umana e all’ordine dei suoi progetti.
Mettersi in gioco con il corpo, con la mente, con il cuore. A volte, diventa difficile comunicare le proprie sensazioni e per questo, non si riesce a dare una esatta immagine dei nostri sentimenti.
Bisogna ascoltare ogni singolo mormorio che emana il proprio corpo e provare a riconoscerlo in tutti i suoi punti. Lo specchio di ogni giorno, la semplicità del tuo essere con e intorno agli altri.
Per questo il laboratorio è soprattutto fisico prima che psicologico, emozionale prima che mentale, intimo prima che spettacolare.
Parlare del corpo non significa riferirsi a un oggetto del mondo, ma a ciò che dischiude un mondo, quello che scorgo in procinto di agire, o paralizzato dallo sguardo dell’altro, o incoraggiato da un gesto, o piegato dal dolore, non è il mio corpo, ma sono io.
Questa identità di corpo ed esistenza è quella presenza che, ignorata, consente ancora di parlare del corpo, ma non nell’accezione umana, dove la corporeità non è un organismo, ma una dimensione originaria senza cui non si costituisce una presenza al mondo.