C’era una volta un piccolo regno senza re. Ma ai suoi abitanti non piaceva che il loro paese si chiamasse Gno. Decisero allora di metterci davanti a Gno, Mele.
Melegno era un bel nome ma il miele è un alimento che deriva da un grande lavorio delle api che circolavano per tutto il territorio scegliendo i fiori più belli e colorati per realizzare quel nettare che i bambini utilizzavano per rendere dolce il latte e il pane.
Fu allora che a qualcuno venne l’idea di prendere il termine dialettale ‘nduco (portare) e così il nome del paese divenne Melendugno. Il territorio di questo regno senza re si estendeva dall’entroterra di una penisola fino al mare, solo che prima di arrivare al mare, bisognava attraversare una zona paludosa ricca di una fitta vegetazione e tantissimi animali selvatici. C’era, ad esempio, un serpente lunghissimo che i pastori chiamavano ‘mpastura vacche, perché legava le gambe delle vacche e ne succhiava il latte. Su questo serpente si raccontavano molte storie. Per esempio le donne anziane, nelle lunghe sere vicine al fuoco, raccontavano che i cervoni si attaccassero ai capezzoli delle donne e mettessero in bocca ai loro figli la coda . In realtà questa favola era solo un modo per dire che, ai tempi loro, la miseria portava i bambini a dimagrire, ma non per colpa del serpente, ma per le condizioni economiche delle famiglie sfruttate dai nobili e dagli agrari.
Dovete sapere, cari bambini, che veniva considerato persona di gran cuore un conte che una volta al mese scendeva nella piazza davanti al suo castello e, alle persone che aspettavano in ginocchio, riempiva le mani fatte a coppetta con una manciata di granturco. Per fortuna gli abitanti di Melendugno avevano tante possibilità di ‘sbarcare il lunario’. Per esempio, le campagne erano piene di lumache, la palude dei Tamari era piena di anguille e il mare ribolliva di pesci. La palude era alimentata da una ragnatela di canali che portavano l’acqua che faceva crescere tante canne e tanti giunchi, oltre che ad un infinità di fiori di palude utilizzati per curare tante malattie. Poi un giorno accadde che si cominciò a trasformare tutto in merce: le cose, le persone e pure il territorio. Per costruire le case riempirono i canali. Scomparve l’acqua dalla palude e tutte le attività legate alla vegetazione come per esempio la pesca con le nasse per le aragoste. Non si coprirono più le case con i fiddhitti (felci), il tufo, i cannizzi (canne intrecciate) e imbrici (tegole di creta grezza). Il cemento la fece da padrone. La costa venne strozzata con un nodo scorsoio di asfalto che chiamarono litoranea.nMa la cosa più triste ancora doveva arrivare.
Una terra che aveva visto solo canali si riempì di tubi per l’acqua, per le fogne, per la corrente elettrica e per i telefoni. I contadini, che erano abituati a scavare i loro canali per irrigare le piante, e i pescatori, che erano abituati a scegliere i posti dove calare le reti, un bel giorno, anzi un brutto giorno (per loro), si ritrovarono a dover fare i conti con un enorme tubo che veniva da altri mondi che dicono si dovesse riempire di gas. Che dicono avrebbe fatto lavorare centinaia di persone. Che dicono avrebbe portato il progresso. Che dicono avrebbe fatto arricchire tutti. Che dicono non avrebbe procurato un grammo di inquinamento. Il tubo non era ancora apparso all’orizzonte e già si cominciava a parlare di buchi da fare nel mare, di alberi da sradicare, di compensazione alle amministrazioni locali. Il tubo, il grande tubo, a mano a mano che prendeva forma, diventava sempre più cattivo. Ma cercava di rassicurare dicendo che gli alberi di ulivo sarebbero stati ripiantati da un’altra parte. Che i proprietari dei terreni sarebbero stati indennizzati. Che i pescatori sarebbero stati risarciti. Che i gestori delle attività balneari sarebbero stati lautamente ricompensati. Tutto, quindi, aveva un prezzo. Ma c’era una cosa che prezzo non aveva ed era la capacità di decidere da parte dei cittadini di quel paese che portava miele. Dentro quel tubo non viaggiava solo il gas, ma il potere delle grandi multinazionali supportato dai servitorrelli che banchettano nel retro cucina dei partiti. Forse, ed è difficile crederlo, quel tubo non avrebbe inquinato il mare, la terra e l’aria ma sicuramente avrebbe inquinato la testa della gente. Una testa che avrebbe prodotto pensieri corti, quelli che si possono trasformare in merce e vendere al mercato dell’informazione.Una testa che si sarebbe riempita con i simboli dell’Euro €. Una testa che invece di produrre favole avrebbe prodotto i neri pensieri che uccidono il futuro delle nuove generazioni.
Nel frattempo, da queste parti, Melendugno già comincia ad essere appellato Malandugno.
Gino e Alessandro Santoro
San Foca di Melendugno