Effettivamente in qualche modo sono un intruso. Intruso autorizzato dai tre autori che firmano il testo interartistico di cui pubblichiamo qui 10 pagine in bianco e nero. Nel testo la grafica è a colori e le notazioni musicali in oro. Diciamo moderatamente intruso, non perché figlio di uno degli autori, ma perché sono quello che ha curato tutto il progetto editoriale. E, allora, ciò che posso offrire ai lettori insieme a questa piccola anteprima è una specie di planimetria multidimensionale dell’opera. Un insieme di cartelli indicatori che segnalano percorsi fra i cespugli dell’opera e che, tuttavia, niente garantisce che non si dissolvano dopo la prima curva.

Iniziamo dal titolo: S /Concerto per Europa. Canovacci per teatri senza spettacolo in forma di poema. Opera aperta e in fieri, dunque, abbozzata nella cornice s/scorniciata del concerto/sconcerto in quattro movimenti. I contributi dei tre autori, d’altra parte, solo apparentemente definiscono i campi che si potranno attraversare seguendo il dipanarsi dell’opera. In realtà le “erranze testuali” di Santoro, le “tessiture visive” di Martin Petric e le “peripezie sonore” di Francesco Libetta lasciano immaginare percorsi sghembi, sconfinamenti anomali, evasioni imprevedibili. E questo appare già sufficiente a richiedere un ruolo attivo da parte del ‘lettore’, obbligato ad inventare proprie strategie per utilizzare i ‘canovacci’, scomporre e ricomporre le ‘tessiture visive’ perdersi e ritrovarsi nelle ‘peripezie sonore’. Possiamo dire, allora, che ci troviamo di fronte ad un ‘marchingegno’ artistico messo a punto per tentare di catturare la complessità del reale? Forse. Se sapessimo con precisione che cosa è il reale. Se, invece, quello che chiamiamo reale è qualcosa che dobbiamo conquistarci stendendo e ritirando continuamente le reti del pensiero, tentando di decifrare gli strani mostri che vediamo agitarsi nelle maglie dei linguaggi, allora la complessità non può essere una formula, ma un processo entro il quale far danzare soggetto e oggetto, noi e gli altri, i suoni e i silenzi…

Nello sconcerto si condensano e si disfano tre scenari – canovacci.

Uno, il più denso, racconta di un ospedale psichiatrico femminile bombardato. Delle pazze violentate dai lupi in divisa. Soldati serbi, bosniaci, della NATO? Quando scende la notte tutti i violentatori sono grigi. E, insieme, ci sono gli “scampoli di carità” che scendono dal cielo. E con gli aiuti obbligati dalle guerre umanitarie anche le casse con i costumi e le maschere di una compagnia teatrale invitata al festival del teatro antico a Epidauro.

Un altro canovaccio – scenario racconta di una separazione famigliare e dei figli che cercano di trovare un senso al loro percorso di vita.

Il terzo tenta di prendere forma in mezzo al groviglio di racconti mitologici tessuti, sfilati e ritessuti intorno a Europa, costituisce il fondale lacerato dell’intero S/concerto.

Plurali sono anche le forme che attraversa il testo: prosa e poesia, testo drammatico e didascalia, dialogo e cronaca, citazione e traduzione; le metamorfosi del serpente nero della scrittura devastano il bianco della pagina, lo costringono a colorarsi, ad arrossarsi col sangue raggrumato nel “nero rotolio delle lettere” che si scioglie scorrendo verso i bordi.

E plurali anche le lingue che si allungano, fioriscono e appassiscono intorno al tronco e ai rami grossi dell’italiano. C’è anche qualche alito di lingue seccate sulle pareti delle grotte, rantoli d’esistenze inchiodate alle croci del passato. Ma anche le traduzioni – tradimenti scippano parole e versi da poeti sommi o sconosciuti: Shakespeare, Pagano, Eschilo…

Le annotazioni musicali potrebbero trarre in inganno: indicano percorsi oscuri nel mistero dei suoni? E se fossero semplicemente gli appunti per rubare qualcuno dei canovacci e farlo diventare uno spettacolo musicale? Sulla grafica c’è poco da dire. Martin Petric ci richiama in un ‘chissadove’ d’un mondo dove scaturiscono i colori e le forme che più che illustrare il testo sembrano produrlo. Una specie di grumo informe dal quale fioriscono parole che conservano quasi tutto l’amaro irriducibile delle cose.

Per finire: il rapporto tra grafica e testo e quello tra testo e musica sembrerebbero rimandare al discorso sull’arte sintetica del Bauhaus ed in particolare alle teorie di Kandiskij sulla relazione tra suoni e colori, ma la ricerca di antecedenti ci porterebbe fuori pista…potremmo trovarne tanti, davvero tanti. Forse troppi.