Storia del socialismo italiano. di Alessandro Santoro

Ricordo perfettamente quando ero fanciullo: una voce, tante voci. C’era sicuramente mio padre che urlava a mia madre di provare ad intonare una nota giusta.

Poi c’era Rina Durante. E se c’era Rina doveva pur esserci lu Sergio Spina. Rina era la scrittrice amica di papà. Sergio il regista della Rai,  l’amico di Rina e papà. Per me Spina era un pagliaccio. Nel senso che lui veniva da Roma regolarmente carico di regali per noi piccolini e teneva in tasca un naso da pagliaccio che indossava durante il rito della consegna dei doni. Schiaccianoci a forma di soldato dell’Armata Rossa made in URSS, spille della Repubblica Popolare cinese, magnificenti giocattoli in legno della Jugoslavia.

– Sergio ma tu che mestiere fai?- chiedevo io.

– il pagliaccio – rispondeva lui.

Quanto fosse vero lo capii molti anni dopo. Adulto. Rileggendo la sua autobiografia.

Rina arrivava a sera per cena. Tra le imprecazioni di mamma che non veniva mai avvisata e le rocambolesche peripezie di mio padre che improvvisava un piatto da portare a tavola. Rina beveva il vino solo a sera. A pranzo solo acqua. Ma si arrabbiava molto quando nel frigo non trovava neanche una birra. A fine cena Rina si alzava in piedi e raccontava una delle sue storie che ancora oggi consumo sfogliando i suoi libri. Ho visto letteralmente nascere “Gli amorosi sensi”, mio padre conserva ancora un copia del dattiloscritto originario autografo. Il titolo era “Vite superflue”.

All’interno un raccontò che poi, nel libro definitivo, fu tolto. “La luce”. Il più breve. Il più duro.

Storia di una vita talmente superflua da scomparire ingoiata dalla più grande acciaieria d’Europa. Un corpo scomparso. Uno dei tanti. Un racconto scarno. Come il corpo del povero operaio scarnificato dalla colata. All’editore probabilmente non piacque, troppo realismo, troppo scomodo negli anni in cui era più conveniente incensare il miracolo dell’acciaio e la chimera del lavoro.Ma Rina era questa: vera, militante, ferma.

Mio padre provava spesso a mediare, a smussare, ma finiva sempre con l’aizzare ancor di più. Al termine del racconto Rina alzava il bicchiere, accendeva una Merit e iniziava a cantare. Ecco che ritorna alla mia mente quella canzone.

Parlava di scimmie comuniste.

La scrisse Rina con papà e diventò in breve la colonna sonora della mia infanzia. L’accompagnamento di mille avventure che con i compagni di Oistros abbiamo vissuto negli anni.

Quando le scimmie conquisteranno il mondo

si stupiranno di trovarlo tondo

ma sarà sempre un mondo un po’ migliore

con le scimmiette tutte di un colore 

rosso, rosso 

rosso a più non posso

la scimmia comunista

il mondo cambierà

cambierà 

Viva Lenin!

Poi un giorno nacque una scimmia col libretto

le scimmie nere si misero l’elmetto

le scimmie rosse che erano le masse

presero coscienza e furono la classe

classe, classe

potere alle masse

la scimmia comunista 

il mondo cambierà

cambierà

Viva Lenin! 

Quando la scimmia inventò il denaro

subito nacque un babbuino avaro

che prese gli altri a colpi di bastone 

e diede inizio all’accumulazione

oro, oro

ce l’hanno tutto loro

la scimmia comunista 

lo ridarà al lavor

al lavor

al lavor Viva Lenin!

Nacque a Neanderthal e fu subito represso

la scimmia maschia si ricoperse il sesso

la scimmia femmina non fece più all’amore

e un po’ di scimmie fecero le suore

sesso, sesso

non fosti più lo stesso

la scimmia comunista

ti riscoprirà

scoprirà

scoprirà

Viva Lenin.

Così fu che scoprii i comunismo.

Nel Salento di quegli anni quasi tutti erano comunisti. Ma in pochi avevano il coraggio di dirlo. Ancora meno erano quelli che votavano Partito Comunista… quei pochi stavano tutti a casa mia!

Ho continuato a sentirmi comunista negli anni. Anche quando casa mia si svuotò e molti seppellirono la falce e martello sotto la quercia e poi vendettero la loro anima ai Riva e alle multinazionali del cemento e del carbone. Per me il comunismo era quella piacevole sensazione di vedere intorno a me un mondo fatto di gioia e familiarità. Un mondo che riconoscevo come mio e che mi era dovuto. Un mondo contadino che trovava nel raccontarsi il senso di un riscatto sociale che andava ben al di là delle retoriche sulle favole della modernità. Una favola venduta oggi tra le mille oscenità del turismo che tutto consuma e tutto distrugge. Forse mi sentivo comunista perché Sergio, Rina, papà si volevano molto bene ed io sentivo il senso profondo del comunismo in quella solidarietà, militanza, affetto, dialettica che caratterizzava il loro rapporto.

Quando nacque mia figlia fu istintivo stringerla tra le braccia e rivedere nei suoi occhi ancora chiusi il sol dell’avvenire. Alice era rossa, indossava una maglietta rossa. Le cantai la sua prima ninna nanna durante il suo primo giorno di vita: la scimmia comunista. Fu il momento più importante della mia vita e sentivo intorno a me riecheggiare i sorrisi di Rina. Alice ha imparato a cantare la scimmia comunista immediatamente ed enorme fu lo stupore delle sue maestre d’asilo quando lei esibì il suo talento per la prima volta di fronte a tutta la classe. Ricordo la faccia della povera Nonna Rosa il giorno di Natale di alcuni anni fa allorquando Alice, che aveva solo 2 anni, si alzò sulla sedia e con aria compunta esclamò:

– ora canto una canzone.

Nonna Rosetta aveva già afferrato le monete da elargire al termine della canzoncina. Alice iniziò a cantare:

– tu scendi dalle stelle….- si fermò. Guardò i sorrisi ebeti del parentame ed esclamò:

– no. Questa no!

Alice prese fiato e a squarciagola intonò la scimmia comunista.

La faccia della nonna cominciò a diventare dubbiosa. Ma quando al termine della prima strofa la sentì urlare – Viva Lenin!- ecco che la nonna si sentì mancare.

Questi episodi, ovviamente, nulla vogliono dire sulla reale capacità di Alice di afferrare il senso profondo di quella canzone.

Poco tempo dopo però non ebbi alcun dubbio. Alice aveva colto il senso più intimo del socialismo.

Era il giorno di una grande manifestazione nazionale della CGIL in diretta Tv. Rientrai a casa dal lavoro giusto in tempo per ascoltare il discorso della Camusso e trovai Alice che guardava un cartone animato in tv.

– Alice, per favore, posso cambiare canale per guardare una cosa molto importante?

Mi osservava mentre una lacrima mi attraversava il viso (sono fatto così mi commuovo sempre quando vedo sventolare tante bandiere rosse…).
– Papà chi è quella signora, perché grida e tu perché piangi?
– vedi Alice tutti quei signori? sono lì perché vogliono lavorare.
– perché vogliono lavorare papà?
– perché così possono portare dei soldini a casa e fare felici i loro bimbi e senza lavoro non sono felici. Per questo gridano. Perché sono arrabbiati.
Alice mi guardò e andò filata in camera sua.
Tornò con la sua borsetta e il suo salvadanaio.
– Papà se andiamo in quel mondo glieli do’ io i soldini….

Ecco, mia figlia quel giorno imparò la solidarietà.

Quel giorno capì il socialismo.

Quel giorno, Alice conobbe veramente Rina, Sergio e il nonno Gino e capì che “quel mondo” al di là della tv non era la verità. La verità stava nella canzone della scimmia e nella storia di Rina e dell’operaio divenuto luce.

Alessandro Santoro