SAGGIO SUGLI ESSERI POCO IMMAGINABILI. Ovvero di bipedi equilibristi, con un ano al posto della bocca.

Cosa sappiamo oggi del coronavirus chiamato SARS- Covid-2?

Se lo sono chiesti in moltissimi in questi mesi così drammatici per una umanità che si è riscoperta fragile e vulnerabile.

E se la domanda fosse: cosa sappiamo dell’essere che oggi è minacciato dal Covid-2?

Capire il nostro nemico, si è spesso detto, aiuterà la cura e la difesa contro questa minaccia.

Già, quale è, allora, il nemico? La risposta sembra scontata: il covid-2 è il nemico (attuale) dell’uomo.

Nel mio peregrinare alla ricerca di una spiegazione alle domande che un po’ tutti si son posti, mi sono imbattuto in testi notevoli, da Camus a Roth, passando per Boccaccio e Quammen, cercando di mettere a fuoco questo “nemico”.

Ho compreso così alcuni fondamentali, niente di straordinario rispetto a quanto sanno le persone avvedute che, leggendo e ascoltando, cercano di farsi un’idea.

Ho scovato, in tutto ciò, un particolare testo. Fulminato, tanto dalle illustrazioni, quanto dal titolo: “Il libro degli esseri a malapena immaginabili” di Caspar Henderson edito da Adelphi. Mi sembrava un’ottima “pista” da seguire. 

In fondo, pensavo, io, come lo immagino questo virus?

Vero che, ai giorni nostri, le rappresentazioni per immagini in computer grafica sono miracolose. Abbiamo viaggiato intorno ad una specie di palla spinosa del diametro medio di 0,10 micron! Come astronauti abbiamo orbitato intorno ad una foresta rossa, in crateri desertici, fantasticato di invasioni aliene e conquiste extra dimensionali.

Ma, per quanto uno si sforzi, rimane un gap immaginativo. 

Il virus è, definitivamente, un essere a malapena immaginabile anche per un cervello complesso come quello umano.

L’uomo stesso, a pensarci bene, è un essere difficilmente immaginabile.

Cosa lo differenzia dalle altre specie? E’ una di quelle domande che si sono posti in tanti. Aristotele che lo definiva “animale politico”, Thomas Willis “animale che ride”, Benjamin Franklin “animale che fabbrica strumenti”, Edmund Burke “animale religioso”,  Lévi-Strauss “animale che cucina”, e via via fino ad Harari “homo deus”, animale che immagina, che racconta, che costruisce narrazioni.

Nel curioso libro di Henderson la prospettiva è ribaltata: l’uomo è a tutti gli effetti un essere poco immaginabile, degno di classificazione al pari di una spugna barile, di un cetriolo di mare o di una stella corona di spine. Osserva, come altri studiosi, più le somiglianze che le differenze.

Assomiglia tanto l’uomo ad un cetriolo di mare? Beh si! 

Non solo perché ha l’ano al posto della bocca, cosa che, metaforicamente, tutti abbiamo pensato di qualcuno, qualche volta, ma, al pari dei cetrioli di mare, che si cibano, nelle profondità marina degli escrementi prodotti, a sua insaputa, sopra di essa, anche l’uomo spesso si ciba di qualcosa che non comprende realmente.

Tra i cugini del cetriolo vi è la stella corona di spine che ha l’ano rivolto verso l’alto e la bocca in basso: l’ideale per cibarsi.

Vive, la stella, aspettando che la natura la imbocchi, che lo scarto prodotto dai suoi coesistenti le giunga, senza alcuna fatica, all’altezza della sua bocca.

A differenza dei suoi cugini, però, la stella non è solo un spazzino del mare ma ha acquisito il gusto per la carne viva. La stella si sposta sulla meravigliosa e vivissima barriera corallina e, trovata la preda, avviluppa la vittima in un abbraccio mortale, vomita i suoi succhi digestivi sui polipi, trasformandoli in una poltiglia appiccicosa e, quindi, li risucchia dentro di se.

Allo stesso modo sembra comportarsi l’uomo. Consuma, quasi inconsapevolmente, molto più di quanto produce, ingurgita i suoi stessi scarti, ne produce in quantità tali da divenire la sua stessa fonte di rovina. Rimastica e avviluppa in un abbraccio mortale la stessa vita che lo circonda. Cosi, la stella marina, si muove sui fondali desertificando.

C’è, però, una grande differenza con l’uomo: ad un certo punto, e in qualche modo, la stella, “comprende” e si arresta. Si ferma un attimo prima della sua estinzione e della distruzione del suo ambiente. Si spera, dunque, che tale comportamento emergerà, infine, nell’uomo.

E quale può essere quel limite che dovrebbe far scattare un tale cambiamento di comportamento?

La pandemia, a me, è sembrata un buon pretesto per auspicarsi un adattamento in questo senso anche nell’uomo.

E’ evidente come questa bizzarra creatura, l’uomo, assomigli tanto ad altre bizzarre creature.

Il bipedismo, ad esempio, è una particolarità che, a ben guardare, non è la più inconsueta. Da alcuni sauri bipedi come, il più antico, Euraptor lunensis (letteralmente “cacciatore dell’alba nella Valle della Luna”, non lo trovate un nome straordinario?) estintosi nel Cretaceo- Terziario, sino al pollo. Condividiamo il nostro bipedismo con uno degli esseri più numerosi al mondo (ce ne sono circa 24 miliardi) che vive solo perché ridotto in schiavitù e controllato dall’uomo!

Osservare che il pollo è il discendente più prossimo del Tirannosauro può aiutare a farsi un’idea di quanto complesso e incredibile sia il luogo che abitiamo e l’essere che siamo.

Nel mio peregrinare libresco, quindi, ho, ad un certo punto, deciso di invertire la rotta, il punto di vista.

Se, ancora, non conosciamo questo coronavirus responsabile di tale macello, se gli scienziati di tutto il mondo continuano a cercare di illuminare qualche dettaglio chiave, che possa portarlo a più miti consigli, perché, intanto, non spostare il focus su quell’altro essere poco immaginabile che un po’ meglio conosciamo: l’uomo?

E’ evidente, ormai, come l’uomo, da solo, stia compromettendo equilibri giganteschi. Non mi riferisco solo a comportamenti scellerati e agli stili di vita moderni. Il numero di 7,8 miliardi, in continua crescita, di presenze umane sul pianeta è, allo stato attuale insostenibile. Punto.

Ci pare di aver capito, inoltre, che, il sistema di produzione di scarti e inquinanti, che accelerano quel processo di desertificazione e distruzione che ho provato a raccontarvi con la stella corona di spine, meglio noto come capitalismo, è il turbo decisivo in questa corsa verso l’estinzione. Della specie umana, come di molte di quelle bizzarre e favolose descritte dalla fantasia umana nel corso di 200mila anni.

Durante il lockdown, la chiusura, l’isolamento, il blocco o la riduzione drastica del sistema produttivo e distruttivo, abbiamo tutti potuto assistere ad uno spettacolo senza precedenti.

Nessun umano ha, probabilmente, mai assistito ad una potenza vivificata tanto lampante.

Tutti hanno potuto constatare come la natura sembrasse parlarci. Fiumi finalmente ripuliti, canali limpidi, animali che, rapidamente, hanno riconquistato luoghi resi invivibili dall’uomo.

Doveva essere uno spettacolo in grado di far comprendere ad un essere privo di ano sulla bocca che, se vuole sconfiggere questo virus ed altre possibili minacce, deve prima salvare se stesso.

Ed invece? Quali sono i messaggi che giungono ad epidemia non ancora estinta?

Consumate!

Spendete!

Producete!

Distruggete!

Il dubbio di essere governati da esseri inimmaginabili, con un ano al posto della bocca, si è fatto, in me, certezza.

Torniamo alle certezze, quindi.

Il Covid deriva dal pipistrello. Sulla terra esistono circa (fonti ministero dell’ambiente) 1100 specie di pipistrelli diversi, è il secondo gruppo di mammiferi più presenti al mondo dopo i roditori, il 20%, da sola, delle specie descritte.

Pipistrelli, topi e polli dunque sono gli esseri, per numero e prossimità, più vicini all’uomo.

Il virus se ne stava buono lì. Il motivo del suo salto è banale quanto affascinate: ha trovato un mammifero che si muove e lo può, potenzialmente, diffondere più velocemente.

E’ un comportamento del tutto adattativo. 

Molto umano, si direbbe.

Niente, come la giri, alla fine si giunge alla competizione! Siamo esseri coesistenti in continua competizione.

Il capitalismo, è la competizione elevata a religione.

In ballo non ci sono solo esseri difficilmente immaginabili, ma un sistema che è stato immaginato e di cui si conoscono, chiaramente, le conseguenze.

Possiamo accettare la competizione e continuare a tirare la corda, distruggere ed estinguere ancora ed ancora. Ma ognuno di quei sacrifici ci restituirà una dose di morte che non può essere estirpata mai, sulla terra.

Nella Grecia antica gli uomini avevano dato un nome alla terra: Gea.

Gea nasce dal Caos e generò il cielo stellato (Urano) e il mare (Ponto). Gea è anche venerata, però, come dea dei morti dato che i morti ritornano sempre nel grembo della terra: di Gea.

Che sia una stella marina con un ano al posto della bocca o un virus, siamo tutti esseri poco immaginabili.
Ciò che possiamo fare, in attesa del ritorno a Gea, è immaginare un punto oltre il quale anche Gea morirà.

Quel punto è oltre l’equilibrio, nel non dare per scontati i nemici

I nemici, spesso, siamo noi stessi: bipedi equilibristi, con un ano al posto della bocca.