Due frasi postume di Rina Durante. Di Luigi Lezzi

Chi ha l’ha conosciuta bene sa che Rina non sopportava il comportamento interessato e l’ipocrisia. Reagiva immediatamente e, senza diplomazia, o ti rideva in faccia oppure, più probabilmente, andava su tutte le furie e ti rimetteva al tuo posto. Dipendeva da come si era svegliata: tollerante e benevola oppure aggressiva e battagliera come una vespa stuzzicata nel suo alveare. Se ti andava bene poteva sorridere e usare le parole per farti capire maieuticamente il tuo errore; se ti andava male ti arronzava alla cieca e ti mandava a quel paese.

Per questo non è difficile immaginare che cosa direbbe oggi a quelli che solo perché si chiamano col suo stesso cognome si spacciano per suoi nipoti (Rina Durante, avendo avuto solo tre sorelle e nessun fratello, non può avere nipoti che hanno il suo stesso cognome) o che solo perché si chiamano come lei Caterina pretendono di continuarne l’opera creativa con gli stessi meriti.

Ancora più agguerrita sarebbe con coloro che, mentre lei era ancora in vita, ne ignoravano a bella posta i meriti di scrittrice e di operatrice sociale mentre oggi si sentono nel dovere conformistico di lamentarne l’assenza, così come si deve fare con i morti.

In verità qualche addetto ai lavori nel settore della Storia delle Lettere, quando non ne ha potuto fare a meno per non essere tacciato di ignoranza, ha sentito l’obbligo di fare il suo nome accanto a quelli di Girolamo Comi, di Vittorio Pagano, di Vittorio Bodini o di Tommaso Fiore. Però con altrettanto rispetto del vero bisogna dire che nessuno, pur potendolo fare, ha mai promosso iniziative per affidarle i ruoli di responsabilità nell’amministrazione della cultura che pur le competevano e che, oltretutto, le avrebbero permesso di essere ancor più incisiva nel sociale.

Radicale e irriducibile, era un personaggio scomodo per i piccoli coltivatori di orticelli per cui nel corso della sua vita ha dovuto anche subire misconoscimenti di vario genere e affrontare bracci di ferro con le Istituzioni.

L’Accademia, per esempio, avrebbe dovuto riconoscere per tempo i suoi meriti pedagogici e letterari. Che lo faccia oggi, quando la sua azione non può più contagiare e spronare le giovani generazioni, non ha più senso ed è troppo tardi. Incarichi di responsabilità nel settore della formazione le avrebbero dato maggiore spazio e avrebbero reso ancora più incisivo il suo operato.

I burocrati dei Partiti della Sinistra Storica nei quali ha militato e con i quali è entrata spesso in conflitto non hanno capito le ragioni del suo dialogo franco e costruttivo con le espressioni giovanili e con le organizzazioni extraparlamentari.

Le Testate Giornalistiche con cui ha collaborato, che pur si gloriavano della sua firma in calce ad importanti contributi letterari e di analisi sociale, si sono guardate bene dall’affidarle ruoli di dirigenza e, anzi, sono addirittura giunte a sostenere contro di lei avvilenti azioni legali pur di limitarne l’operato.

Le Istituzioni hanno ritenuto più opportuno puntare su altre figure sicuramente meno energiche e più sprovvedute di lei ma al contempo più docili e più propense ad assecondare le regole di quel conformismo a cui Rina era costituzionalmente avversa.

All’indirizzo di costoro che solo oggi si mettono in mostra e, al sicuro dalle sue reazioni, ne vantano l’integrità morale e le capacità tecniche di narratrice, lei oggi direbbe:

“Ma dove stavi tu, e che cosa facevi, quando io lottavo controcorrente e mi guadagnavo con fatica quelle doti che oggi fingi di approvare? Te lo dico io dove stavi: ti nascondevi in un orticello e tramavi alle spalle mie! E ringrazia Iddio che sono una donna, alla quale non si addice di passare alle vie di fatto e che, in più, sono pure morta e non ti posso neanche prendere fisicamente per la cravatta”.

Accanto a questa sua franchezza ritenuta da molti troppo radicale occorre sottolineare una sua dote che invece era comune a molti altri (veri) intellettuali del panorama nazionale ed internazionale: la Liberalità, intesa come disponibilità costante e incondizionata, a condividere tutto ciò che si possiede, di materiale e di spirituale, per cambiare in meglio le cose.

Il Sapere può essere usato per esercitare Potere sugli altri e nella maggior parte dei casi, appena uno ne acquisisce anche una virgola, si lascia facilmente sedurre da questa possibilità. Nella felice parentesi degli anni in cui ha operato Rina i grandi intellettuali come lei (i più acuti, i più onesti e i più umili) hanno sentito il dovere e il piacere di interrompere questo gioco crudele e disonesto. Questa benemerita categoria non conosceva, per esempio, l’esclusivismo nelle proprie frequentazioni ma praticava in maniera convinta la condivisione del proprio tempo con chiunque. A prescindere dalla tua età o dalla tua professione o dal ceto da cui provenivi non trovavi nessun ostacolo a confrontarti con Rina, come non ne trovavi se ti capitava di incontrare con lei Pasolini, Dario Fo, Giovanna Marini, Ferdinando Taviani, Joyce Lussu o tanti altri suoi amici e colleghi di lavoro. Rina mostrava lo stesso interesse a scambiare pareri con l’affermato regista televisivo oppure con l’anziano frequentatore delle osterie oppure ancora con il giovane sprovveduto al quale sentiva il dovere civico di aprire gli occhi. Questa apertura si risolveva naturalmente in fertili cortocircuiti che generavano incendi di dimensioni storiche. Andando in giro con lei ti potevi incollare ad un lupo di mare che ti parlava delle correnti di fondo del Mar Baltico oppure, con uguale facilità, in un padre della musicologia che ti spiegava il significato antropologico della disposizione delle note nella scala musicale.

Una bella differenza fra la speciale classe di intellettuali a cui Rina apparteneva e quelli che, spesso senza neppure esserlo di fatto, negli anni successivi si sono prodigati sempre più nella restaurazione dell’equivalenza fra Sapere e Potere e si sono barricati nei loro miseri fortini.

L’invito di Rina all’inflessibilità e alla liberalità non deve essere tradito. Faccia attenzione chi pensa di avere grandi meriti solo perché ha avuto accesso a casa sua, sulla sua barca, o si è trovato a tavola con lei o cantare insieme (lei stonata) il ritornello di un canto salentino. Nessuno tradisca l’intenzione dei suoi comportamenti e, se si ostina a farlo, si aspetti di vedersela comparire in sogno con la luna storta e di sentirsi dire con pesante veemenza:

“Senti, bello mio, ma che ti sei messo in testa? Ti credi di essere meglio degli altri? Ma allora non hai capito niente! Non ti permettere più di presentarti davanti alla mia porta e se mi incontri per strada vedi di girare alla larga! Ricordati che sono morta e che quindi non mi basta più scrivere un articolo per sputtanarti.Vengo di notte e ti prendo per i capelli!”