Da Achille a questi qua: storia della legittima difesa.

Da che esiste l’uomo esiste una narrazione.

Illustri pensatori, come l’israeliano Harari, ci spiegano che in ogni uomo risiedono almeno due diversi sé: il sé esperienziale e il sé narrante.

Il primo non ha memoria. Non racconta storie e di rado viene consultato quando si tratta di prendere decisioni importanti.

Il sé narrante, invece, è costantemente impegnato a tessere storie sul passato per costruire il futuro. Ma, solitamente, il sé narrante non racconta proprio tutto, ma costruisce la trama usando solo i momenti clou e gli esiti finali.

Pertanto se dovessimo narrarci dell’efficacia o della necessità di una norma, tenderemo a riportarla sul nostro vissuto personale.

Dal mondo classico al medioevo, il terrore era il compagno quotidiano del vivere comune.

L’assassinio, l’onore, la difesa della proprietà, il rispetto, ecc… erano temi talmente sentiti che bastava solleticarli per considerare normale la faida, la vendetta, il ricorso alle armi per risolvere questioni anche banali.

Infiniti sono gli esempi nel mondo in cui la “legittima difesa” è intesa come diritto di vendetta (dal diritto romano, al Kanun albanese, dal Katakiuchi del Giappone medievale, agli antichi germani…).

Nell’Iliade Achille non può sopportare che qualcuno gli sottragga il “giusto” premio d’onore per le sue imprese, nemmeno il re dei re Agamennone può prendersi ciò che lui ha “legittimamente” rapito. Achille si rinchiude nella sua ira. Tanto basta a scatenare un’ondata di devastazione, massacri: una guerra apocalittica senza soluzione.

“Solo” l’uccisione dell’amato Patroclo condurrà alla ragione Achille. E la ragione consiste nel vestire, nuovamente, l’armatura e scendere in battaglia a vendicare, con l’assassinio, l’ingiusta (?) uccisione.

Se sia più giusta la ragione degli uni (i troiani) o degli altri (gli Achei) lo stabilisce solo il punto di vista del narrante. E siccome il punto di vista è quello dei vincitori, i vinti hanno sempre (o quasi) torto.

Negli stati moderni, si presuppone(va), che il legiferare fosse diventata un’arte capace di elevarsi al di sopra delle parti. Lo stato di diritto esula(va) dai due sé per trovare una mediazione tra i due.

L’esperienza di governo dell’attuale compagine gialloverde, invece, ci riporta direttamente a quel principio sommamente espresso dal Ministro Salvini: “se non sei d’accordo fatti eleggere”.

Che poi è il principio di ogni sovrano, tiranno, monarca che si rispetti. 

Le politiche che questo governo sta pervicacemente portando avanti, non solo ignorano secoli di storia e di tragedie immani, ma non rappresentano alcun cambiamento rispetto a ciò che abbiamo visto e subito per secoli e secoli. Agire sotto l’impulso dell’odio, della rappresaglia, dell’onore, del “diritto naturale” genera solo tragedie più grandi. 

Pensavamo fosse finito il tempo dei poemi epici e cavallereschi, della difesa dell’onore e della proprietà mediante atti di giustizia personale e invece ci toccano ancora meschini individui che sognano un Paese in cui lo Stato evapora di colpo per sostituirsi con la giustizia dei giusti perché eletti, dei giusti perché vincitori, giusti perché naturalmente proprietari. (Per chi non ne fosse ancora convinto consiglio una visione appena appena attenta di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick).

Achille morirà. Troia cadrà e come essa Salvini e questo governo. Peccato che nel mezzo, a pagare il prezzo più alto, saranno innumerevoli figuranti senza nome e senza volto.

Un’ultima osservazione per comprendere come si giunga a personaggi simili e a norme tanto folli ce la offre Baricco nella sua “Postilla sulla guerra”:

“Costruire un’altra bellezza è forse l’unica strada verso una pace vera. Dimostrare di essere capaci di rischiare la penombra dell’esistenza, senza ricorrere al fuoco della guerra. Dare un senso, forte, alle cose senza doversi impossessare di quello di un altro, trovare una dimensione etica, anche altissima, senza doverla andare a cercare ai margini della morte”.

Quando si smette di costruire bellezza un Salvini spunta sempre.

Ma c’è una verità che l’Iliade insegna a tutti noi (ma non a Salvini):

“Questo si dovrebbe imparare, del dolore: è figlio di Zeus. E Zeus è figlio di Crono”.