CRONACHE DAL FRONTE SANITARIO

di L.A. Santoro

DAL VITO FAZZI DI LECCE

Ed eccolo là, in un letto d’ospedale in attesa che gli aprano il torace e gli sostituiscano i pezzi rovinati delle coronarie. Un intervento di routine, oramai. Proprio sulla Repubblica di ieri l’astronoma, Margherita Hack, dichiarava di sentirsi una ventenne, malgrado diversi acciacchi e tre by pass. Tranquillo? Nemmeno per sogno! Intanto perché uno arriva all’incontro con le strutture sanitarie avendo nella testa centinaia di titoli sulla mala sanità e, poi, perché in quel letto dell’ospedale Vito Fazzi di Lecce – porcaccia miseria! – ci sto io. Si, io, proprio quello che sta scrivendo queste parole.
E a dirvi come ci sono arrivato in questo letto è quasi come scrivere un racconto. La vita che in alcuni tratti subisce un’accelerazione e peripezia dopo peripezia – per dirla con Aristotele – o svolta dopo svolta – per dirla col solito Brecht – si dà da fare per imitare la letteratura.
La catena malvagia comincia dopo le vacanze di Natale. Esami di controllo per moglie con vari problemi di salute. I figli insistono perché anch’io faccia le analisi di routine. Da quanti anni non le facevo? Boh, una diecina?
Ma tanto sto bene, vivo in campagna, coltivo il mio orto e il lavoro all’università, con l’elezione del nuovo rettore, è diventato un poco più gratificante. E poi non mi faccio una influenza da oltre dieci anni. Insomma, se uno si sente bene, perché si deve creare problemi?
Al ritiro delle analisi, prima doccia fredda: asterischi vicino ai valori della glicemia del colesterolo e dei trigliceridi. E la vita in campagna? e la verdura senza chimica? E il pesce acquistato dalle barche dei pescatori? E se la cataratta fosse conseguenza del diabete?
Di corsa dall’oculista per l’esame del fondo dell’occhio: negativo, meno male! Forse ho abusato durante le feste di Natale. Ad ogni buon conto, visto che da quando i colleghi di facoltà hanno affondato il corso di laurea DAMS soffro di ipertensione, anche se ben controllata col Norvasc, meglio fare un passaggio dalla cardiologa. Esami vari (eco color doppler carotidi e arti inferiori, elettro cardiogramma, ecocardiogramma) superati con la sufficienza. Mezza giornata per l’operazione di cataratta e, almeno dall’occhio destro ci vedo che è una meraviglia.
Ah, l’impegno per la prova sotto sforzo. L’avevo rimandata per via degli esami e delle tesi. Dopo alcuni minuti di pedalate la cardiologa mi sorride: “Tutto a posto… però”. “Però, cosa?” “Non è una cosa urgente, però consiglio una coronografia. Si tratta di un esame …”. Non l’ascolto più. Meglio, ascolto singole parole o frammenti di frasi: angioplastica…esame senza…ospedale di Lecce…medici bravissimi…
Me ne strafotto. Non farò proprio niente; me ne torno in campagna e mi dedico alle mie piante e,…senza fretta, cercherò di finire alcune cose che sto scrivendo.
Quale mano aveva alzato il telefono per prenotarmi al “Vito Fazzi” di Lecce? Alzataccia all’alba – tanto mi sarei alzato ugualmente alle cinque perché aspetto l’intonacatore che sta curando i muri dopo le passate alluvioni – e niente caffè.
Sbaglio piano e reparto. Non sono ancora entrato e già mi chiedo quanto tempo mi faranno perdere. Mi fermo davanti all’ingresso del reparto per prendere fiato. Non voglio dare l’impressione di uno sfiatato.
Cosa è accaduto dopo, cioè prima di finire su questo letto, mi risulta un poco confuso. Le pratiche burocratiche deve averle sbrigate mia moglie – non sopporto lo sguardo schifato di chi sta dietro un vetro dell’ufficio accettazione. Mi ricorda il contadino di Kafka davanti alla Porta della Legge -. anche se razionalmente devo riconoscere che qualcuno deve pur registrare gli utenti di una struttura così complessa.

In reparto c’è un’atmosfera tranquilla.