Quando sono arrivato in Italia ero troppo piccolo, almeno così tutti mi ripetevano.
Quando sono arrivato in Italia il gommone ci ha messo pochissimo e ho pensato: così vicina è l’Italia?
Quando sono sbarcato in Italia, ho visto le luci della costa e ho pensato: in Albania non ci sono tutte queste luci.
Quando la polizia mi ha fermato e interrogato mi chiedevo: ma che cosa dicono questi? Io non capivo ancora l’italiano. Ma poi l’ho imparato. Ancora non scrivo benissimo, a dire il vero, e spesso scrivo con Alessandro. Lui è veloce con la tastiera. Io gli lascio i miei appunti e lui li trascrive. Poi spesso mi chiama per chiedermi: che c’è scritto qui? A volte non so neanche io che cosa ho scritto e allora invento nuove parole, lì, sul momento. Le doppie, quelle non le ho mai capite... in Italia avete questa cosa strana che sono le doppie!
Quando ho iniziato la mia vita nei centri... non ho mai capito perché dovevo stare nel centro. Io un padre ce l’ho, solo che non posso raggiungerlo. Lui un lavoro regolare non ce l’ha e neanche i documenti. Ci devo pensare io, quando esco da questo centro.
Quando ho iniziato la scuola all’inizio non mi piaceva, ma poi ho incontrato la prof.ssa Beatrice e il prof. Gino, Sandro, Elisa, Antonio e mi sono divertito.
Perché a loro, la mia storia interessava veramente. Perché loro erano anche miei amici.
Quando ho iniziato a fare teatro mi divertivo da matti, perché è un lavoro duro e a me piace stancarmi. Mi alleno molto e vorrei diventare bravo, anche se lo so che è molto difficile.
Quando abbiamo incominciato a girare il film io non vedevo l’ora, perché siamo tornati a casa mia da mia madre e mio fratello, che si chiama anche lui Alessandro.
Adesso vivo in un nuovo centro e tra due mesi sarò libero... sono sempre stato libero io. Ma questa volta è più difficile.
Tra due mesi supererò il cancello di quel benedetto centro e non so che cosa accadrà...
Ora ho degli amici, dei compagni d’avventura, ma io lo so che devo contare solo sulle mie forze.
Quando il mese scorso sono andato a Locarno con Alessandro e Mario ho visto la mia storia proiettata al Cinema. E’ stata la prima volta che mi sono emozionato. La gente rideva e piangeva della mia storia.
Sognavo le nuvole colorate è la mia storia, la mia poesia.
Ma io le sogno veramente le nuvole colorate. La mia psicologa diceva che sono un po’ strano... ma io le voglio veramente colorare le mie nuvole... ma la strada è ancora lunga!

Mirupafshim
Edison Duraj

 

Edison mi hanno chiamato Edison… Come l’inventore della lampadina. Sono nato a Fier, in Albania. Sono partito per l’Italia quando avevo 9 anni”. Inizia così lo spettacolo teatrale che con Edison mettiamo in scena sin dal 2005: “Kepuce. Un paio di scarpe nuove per attraversare il Canale d’Otranto”.
Edison, mentre scrivo, ha 17 anni. Il suo compleanno è il 19 Novembre.
Quest’anno compirà 18 anni e, per la legge italiana, dovrà provvedere a dimostrare di avere un lavoro (con regolare contratto) e una casa (con regolare contratto) altrimenti verrà rimpatriato, in Albania. Quella terra che ha lasciato da ormai 9 anni.
Edison, per la legge, non è Italiano, Edison non è neanche albanese. E’ come se si fosse fermato in mezzo a quel canale che ha pensato di aver attraversato 9 anni fa.
Nello spettacolo Edison dice: <<quando sono partito non mi facevano arrivare. Da quando sono arrivato non mi fanno partire. Adesso che mi sono fermato non so dove andare...>> .

Quando l’ ho conosciuto, nel 2004, era proprio un bambino.
Anche se Edison non credo sia mai stato bambino: quando è venuto in Italia aveva 9 anni. A 9 anni si è fatto Albania- Italia, via gommone, da solo, senza genitori. Edison a 9 anni era già più che maggiorenne.
Quando l’ho conosciuto parlava poco.
Adesso Edison non si ferma più e racconta tante storie
Io ed Edison abbiamo giocato al teatro.
Lui aveva voglia di sbizzarrirsi, di raccontare storie e a me le sue storie interessavano. Sono storie molto belle che parlano di mare e avventura, di persone e volti, di incontri e abbandoni.
Io, adesso, di lui so tante cose e anche lui sa tante cose di me. Anche perché siamo stati molto tempo insieme. In teatro abbiamo provato nuovi gesti e nuovi modi di raccontare, ma abbiamo anche parlato molto, scritto e letto moltissimo.
Lui non amava scrivere e parlare, all’inizio si vergognava del suo italiano, poi non si è fermato più.

Nella storia che abbiamo raccontato Edison è stato più di un inspiratore per me, non solo è il protagonista della storia ma è lui stesso che racconta la sua storia. Sono i suoi diari che parlano, i suoi gesti, i suoi sogni, le sue bugie. Io ho cercato nel tempo di raccogliere quanto lui seminava ovunque, gli ho prestato attenzione. Ho cercato di stimolare la sua innata creatività e il suo senso del sacrificio attraverso il teatro. Lui si è sentito subito a suo agio ed oggi lavoriamo contemporaneamente ad uno spettacolo teatrale, ad un film e ad una pubblicazione sulla sua storia.
E continueremo, di certo a lavorare (se la legge italiana lo permetterà...).
Gli ho promesso che un giorno saremmo tornati insieme a Fier, in Albania, saremmo tornati con il nostro spettacolo, io da semplice curioso, lui da vero attore.
E Mario Balsamo, Thomas Torelli, e le tante persone che ci sono state vicine, hanno realizzato questo sogno. Lo scorso dicembre siamo tornati, insieme, in Albania. Lui ha rivisto la madre dopo otto anni, ha conosciuto un fratello che non aveva mai visto, ha rivisto la sua casa e constatato che poco, da quelle parti sta cambiando.
Io dal canto mio ho visto quella terra così vicina a casa mia, mi sono fatto guidare dal mio amico, fratello Edison, io, questa volta, da straniero.
Edison mi ha cambiato ed io sto cambiando lui.
Di questo abbiamo raccontato. Del viaggio via mare, il viaggio della speranza. Ma, soprattutto del suo viaggio verso la dignità. Il viaggio nelle scuole italiane e nei centri di accoglienza. Il viaggio nel teatro e il viaggio nella nostra vita, sempre con la telecamera di Mario Balsamo accesa.

Con affetto
Alessandro Santoro

 

 

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