Non si può non condividere totalmente l’analisi impietosa che il direttore di Quotidiano ha fatto della situazione del “turismo spazzatura” nel Salento e, tuttavia, va rilevato che la sua sollecitazione a lavorare per un turismo di qualità che abbia “un suo tratto distintivo specifico, una sua peculiarità, una sua riconoscibilità. Insomma, una cifra propria”,  perché non rimanga un semplice auspicio è necessario rispondere ad alcuni interrogativi. Occorre chiedersi prima di tutto come si è arrivati qui, cioè alle decine di migliaia di spettatori de La notte della Taranta e delle altre manifestazioni estive, al controllo mafioso dei lidi, all’abusivismo sfrenato; chi, come e perché ha proposto e sostenuto il modello del turismo di massa traghettato da prodotti culturali di bassa qualità, ingorgo d’iniziative festaiole e infrastrutture a dir spesso approssimative e con un gran puzzo d’illegalità. Occorre poi definire i termini del rapporto fra le iniziative culturali e quelle turistiche. Le une al servizio delle altre? Le iniziative culturali “vere” collocate fuori dal periodo estivo? Sarebbe possibile un coordinamento delle iniziative previste dal 15 luglio al 15 settembre? Bisognerebbe, infine, stabilire chi e con quali poteri reali dovrebbe gestire tale coordinamento e, prima di tutto, STUDIARE se da qualche parte e in qualche momento sono state realizzate esperienze mirate a elaborare modelli alternativi. Il buon consigliere gallipolino Luigi Suez avrebbe evitato ‘l’incidente’ del voto negativo per la cittadinanza onoraria ad Eugenio Barba e della successiva lettera di patetiche scuse se avesse STUDIATO, ottemperando agli ovvi doveri di un componente la commissione cultura della sua amministrazione, tenuto conto che della iniziativa di Koreja, della Regione Puglia, del CTP e di alcuni Comuni, compreso il suo, si parla da mesi. Possibile non si sia chiesto il perché queste manifestazioni si svolgano nel Salento e non nella Padania? Possibile che non abbia sentito parlare di un gruppo teatrale che frequenta il Salento da quarant’anni offrendo spettacoli, seminari, sessioni dell’ISTA, conferenze…Possibile che non abbia saputo che alcuni anni fa proprio a Gallipoli il gruppo di Barba è stato impegnato per un’intera settimana? Con un pizzico di buona volontà avrebbe potuto informarsi dell’esperienza di Carpignano salentino del 1974 anche senza sfogliare un libro, solamente spiando in internet. E’ vero, se lo avesse fatto si sarebbe posto altre e più spinose domande che pochi si sono poste in questi anni. Per esempio: come mai l’Odin nel ‘74 lascia la sua comoda e attrezzata sede di Hostebro (Danimarca) per venire a lavorare cinque mesi in uno sperduto paesino del Salento? Chi scelse quella sede e perché? Quali sono i motivi per i quali è stata rimossa la presenza del Gruppo Universitario Oistros  a Carpignano? Eppure il gruppo dell’Università di Lecce aveva promosso e coordinato tutte le attività di animazione culturale da giugno a ottobre del ’74 compresa la famosa Festa te lu mieru. Come mai intorno a quelle inziative ci stava il meglio della cultura del Salento, da Rina Durante a Marcello D’Andrea a Vittorio Pagano e una serie di personaggi esponenti di quella che allora si chiamava ‘cultura subalterna’ come gli Ucci di Cutrofiano? Ora, se gli obiettivi dell’Odin erano rivolti a ritrovare il senso del teatro, il gruppo Oistros aveva un suo progetto? Il lavoro di ricerca per individuare e riattivare forme culturali autoctone in grado di far ripartire le energie creative del territorio era iniziato diversi anni prima. Si festeggiano giustamente i cinquant’anni dell’Odin, ma i quarant’anni dell’esperienza di Carpignano non meritavano almeno una riflessione critica in rapporto anche al disastro perpetrato dall’uso criminale del territorio da parte di amministratori e imprenditori? La prima Festa de lu mieru ruotava intorno all’offerta di prodotti dei carpignanesi – oggi diremmo a chilometro zero -, alla riattivazione di antichi giochi come “patrunu e sutta o passa passa”e, soprattutto; dal palco libero cioè disponibile a ospitare chiunque avesse qualcosa da raccontare, da cantare , da danzare… Era già accaduto in precedenza, ma a Carpignano ritornava spesso il dubbio che i materiali che stavamo riportando alla luce: dai canti alle danze, dai racconti, ai prodotti della terra, ai piatti tipici – Rina Durante cominciava a mettere ordine nella enogastronomia salentina – rischiavano di essere ingoiati da un sistema economico e commerciale basato sul denaro, sulla mercificazione del paesaggio come delle prefiche, delle friselle come delle pizziche. Infatti, se il meccanismo del baratto poteva reggere sul piano dello scambio culturale avrebbe retto su quello economico?  Nessuno allora s’illudeva che il modello ‘Carpignano’ potesse essere generalizzato a tutto il Salento, anche se alcune delle iniziative collaudate a Carpignano furono portate in diversi altri centri, quello che si auspicava era l’interesse da parte delle forze politiche, almeno di quelle progressiste, a confrontarsi criticamente con i metodi e i contenuti di quell’esperienza. Nessuna meraviglia, dunque, che un componente della commissione cultura gallipolina difenda il diritto a non sapere nulla di un gruppo come l’Odin Teatret e del suo fondatore e regista Eugenio Barba. Riaprire oggi il dibattito intorno a quell’esperienza potrebbe comportare la presa d’atto che tra i personaggi che si occupano della polis e la polis c’era, ed è diventato dopo quarant’anni ancora più profondo, un baratro che nessuna Cittadinanza Onoraria o Premio barocco potrà colmare. “La nostra presenza, ripeteva Barba a Carpignano, non deve dare risposte, ma porre domande”; le domande che ha posto l’Oistros in questi anni si sono perdute nel vento della vita forse perché le canzoni, le danze, i racconti che facevamo emergere dai grumi di sofferenza dei Salentini sono diventate occasioni per figliare denaro e carriere politiche. Se saranno gli stessi personaggi a gestire le svolte auspicate dal direttore di Quotidiano cominciamo a prepararci a un’altra Notte del pensiero allietata dai frastuoni delle Notti delle tarante.


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