Siamo folli e affamati

Il direttore artistico Giancarlo Chielli, della sezione arte contemporanea del Festival La Terra del Pane, promosso dalla Fondazione Sassi in qualità anche di Project Leader per Matera2019, nel secondo appuntamento del progetto 12 WINDOWS è riuscito a sorprendere, incantare e spaesare il pubblico che ha attraversato gli spazi della Sala Mostre incastonata nelle palazziate del rione San Biagio, nei Sassi di Matera.

La WINDOW #2 è coincisa con l’anteprima del Festival La Terra del Pane, una tre giorni di intensi appuntamenti con al centro l’arte contemporanea, il teatro, la musica, la poesia e la discussione intellettuale sui temi del pane e della terra. Giancarlo Chielli ha voluto far sentire il respiro d’Europa proponendo una mostra che non traccia relazioni lineati con la tradizione e la località, ma piuttosto elabora un percorso complesso in cui il pane e la terra diventano aggregatori di tensioni visive espresse attraverso le opere dei giovani artisti invitati dal curatore sloveno Martin Petrič. Puntare sull’Europa per interferire con il futuro della Basicalita e della Puglia, offrendo una mostra inaspettata dove ritornano fondamentali, nel discorso e mercato dell’arte contemporanea, la pittura, la fotografia e il disegno.

Risulta sorprendente ritrovarsi in delle stanze dove sono appesi al muro dei quadri, quel medium “tela” che ha attraversato la crisi post-moderma del superamento della rappresentazione a favore dei comportamenti. Un cambiamento di paradigma che la pittura sembrava non riuscire a contenere in una figurazione statica, ma che si ripresenta con forza come mezzo di singolare bellezza per continuare a fermare nel tempo immagini che vale la pena di dipingere. La pittura dell’artista polacco Lech Kolasiński coglie il senso della resistenza e della necessità del gesto pittorico quali argomenti di critica della contemporaneità e di subdola sovversione politica. Come spiega lo stesso Kolasiński: “Per le persone provenienti da grandi città, la necessità di contatto con la natura diventa un’esigenza mistica. Nella ricerca di un domani migliore, non vediamo le possibilità di fermarci e capire questo domani. La fame di natura è come la fame di pane. Il paesaggio può diventare il momento della calma. Fermati, senti, ripensaci”. I quadri esposti sono squarci di una natura in agguato, dove la calma e il senso di sicurezza, che emergono dalla composizione, trascendono in pensieri dissonanti con la condizione dell’ambiente devastato dall’ideologia capitalista.

L’incanto si palesa negli scatti della coppia di fotografi sloveni Andrej Lamut e Mirjam Čančer, che hanno prodotto una serie di lavori espressamente per gli spazi della Sala Mostre. La fotografia, decisamente alla portata di tutti con l’avvento degli smartphone, è arte difficilmente riconfigurabile nel sistema dell’immaginario comune poichè in una fase di estrema banalizzazione del mezzo. Ma la fotografia non è solo scatto, anzi con il digitale la scelta tra migliaia di scatti, ma si dirige verso il passato del laboratorio di fotografia in cui prendersi cura della chimica dello sviluppo e della preziosità della carta. Partendo dal tema del pane, la coppia Lamut e Čančer si chiede il perché stiamo iniziando a respingere qualcosa che è sempre stato sinonimo di buono e giusto, accendo ad una risposta: “forse è la propaganda o semplicemente la natura umana, a rivoltarsi contro le nostre stesse creazioni. Nelle fotografie vogliamo ritrarre il pane e il rapporto umano con esso, cosa succede quando abbandoniamo il nostro pane e proviamo persino a immaginare il mondo senza di esso”.

Lo spaesamento, infine, si realizza nell’allestimento dei disegni, del giovanissimo artista rumeno Cătălin Tăvală, che come piccoli vortici agitano le acque della percezione del pane e della terra. Se il corpo di Cristo si è fatto pane per nutrire l’anima di popoli storicamente lacerati da guerre e carestie, così i corpi contemporanei deturpati da malattie o incidenti si sono fatti pietre da scagliare nello stagno del torpore sociale voluto dalle politiche europee incapaci di orientarsi verso la cura dello spirito dei suoi popoli. Secondo Tăvalădisegnare è la sfida per analizzare una possibile immagine oggettiva dalla realtà e per raggiungere qualcosa di soggettivo con mezzi specifici. Questo si traduce nella creazione di un’intima connessione tra il reale percepito superficialmente e il reale interpretato criticamente”. Non c’è spazio per l’immaginazione nei disegni di Tăvală, c’è invece spazio per la presa di coscienza sul drammatico presente.

La sfida lanciata dal direttore Chielli è chiara, l’arte contemporanea può e deve riassorbire le Belle Arti che l’hanno filiata. Il progetto stesso delle 12 WINDOWS nasce con l’intenzione di mettere in relazione critica curatori e artisti, lavorando in una dimensione di potenziamento delle espressioni artistiche della tradizione, di cui le Accademie hanno il dovere di conservare le pratiche, e di interferenze culturali extranazionali, necessarie per il consolidamento di una comunità di artisti capaci di leggere, senza le pressioni del mercato, le frastagliate spigolature dell’innovazione.

La mostra Hunger presenta tre sguardi provenienti dall’Europa dell’Est, territori geograficamente lontani, ma temporalmente coinvoilti rispetto ai processi di trasformazione sociale e culturale innescati, prima, dalla rivoluzione industiale e, successivamente, amplificati dalla rivoluzione delle telecomunicazioni.

Cosa sta succedendo nella nostra vita quotidiana, quali sono i nostri ideali, come pensiamo di gestire i benefici e i pericoli per noi stessi e per la nostra cultura? C’è qualcosa di importante che ci manca?

Da queste domande guida, il curatore Martin Petrič ha costruito un percorso espositivo che trova difficile collocazione nel tempo, può essere una mostra di cento anni fa così come una mostra che resiste anche al prossimo secolo, ma che trova una perfetta collocazione negli spazi della Fondazione Sassi dedicati all’arte contemporanea. Il direttore Giancarlo Chielli, sposando la chiara funzione politica e sociale dell’arte espressa nelle parole del curatore Martin Petrič: “sono le idee a far crescere una comunità, a organizzare i governi e a orientare i mercati. Molte di queste idee, che influenzano silenziosamente il nostro comportamento quotidiano, sono costrutti politici che assorbiamo attraverso i mass media. Qui, secondo me, c’è un grande potenziale per l’arte, e gli interventi proposti provano a innescare sia cambiamenti nel modo di pensare al nostro comportamento quotidiano e sia aiutare a trasformare le nostre società per il meglio”, rigenera uno spirito artistico che la crisi economica ha voluto assoggettare alla vanità, ma che adesso, scosso dai venti della creatività dell’Est Europa, ritorna a modellare i valori del contemporaneo verso il pensiero critico sulla realtà.