Ossigenare per non morire minchioni. (breve saggio su La terra inabitabile di D. W. Wells e di come morire allegramente).

Sui giornali e in tv, nel mondo, ogni giorno, molte notizie sconvolgono la nostra attenzione. Ma ce n’è una che sembra non sfiorarci minimamente. Non perché non venga raccontata adeguatamente, ma perché gran parte delle persone non la capirebbe.

Ovvero: il mondo sta diventando ogni giorno più folle, delirante, stupido, rimbambito, rincitrullito, babbione, pampascione… ditelo un po’ come vi pare ma, cosi è.

Tutti arrivano a comprendere come i polmoni abbiano bisogno di ossigeno, ma noi non respiriamo solo ossigeno.

Quasi tutti intuiscono che l’ossigeno presente nell’atmosfera si sta riducendo accompagnandosi ad un incremento (notevole) del carbonio. Pochi arrivano a capire che non rischiamo il soffocamento (l’ossigeno è abbondante) ma che (come è stato ampiamente dimostrato), ad esempio, una CO2 a 993 ppm riduce le capacità cognitive del 21%.

Ed è il motivo per cui ci sentiamo così lucidi e freschi dopo una bella passeggiata al mattino lungo la battigia o ci sentiamo del tutto annebbiati dopo una riunione, una lezione, una giornata trascorsa in un luogo chiuso o con poca areazione.

Secondo uno studio, nelle aule di una scuola elementare in Texas (modello rappresentativo di una delle tante città industriali) si riscontra una media di CO2 prossima ai 1000 ppm. Sarebbe interessante riflettere sui quei luoghi che deputiamo all’educazione e allo sviluppo della creatività dei nostri figli che riscopriamo come luoghi di soffocamento intensivo (con 30 persone in pochi metri quadrati un virus è solo uno dei tanti problemi).

Noi non respiriamo solo ossigeno ma, ad esempio, benzina e vernici con piombo. L’incidenza di disabilità mentale, l’alto tasso di criminalità, la riduzione vertiginosa dei risultati scolastici e la riduzione dell’aspettava di vita aumentano in quelle zone dove l’inquinamento atmosferico è più intenso. 

L’inquinamento da polveri sottili riduce talmente tanto i rendimenti cognitivi che i ricercatori hanno dimostrato che, ridurre l’inquinamento fino a raggiungere gli standard dell’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (EPA), migliorerebbe del 13% le prestazioni cognitive dei cittadini.

Malattie mentali, demenza, aumentano di pari passo con l’inquinamento dell’aria. Chi abita in prossimità di una centrale a carbone (alzi la mano chi ne conosce una nel raggio di 50 chilometri) ha molte più probabilità di andare incontro al degrado rapido dei neuroni e all’alterazione del DNA.

Sapevamo già che l’inquinamento dell’aria, oggi, è la causa di un decesso su sei e non ce ne siamo preoccupati troppo (sono anni che il mondo prende in giro se stesso disattendendo regolarmente limiti e convenzioni che si è più volte imposto).

Ma, personalmente, non è la morte a farmi paura.

Mi spaventa l’essere circondato da persone che vivono, scelgono, decidono, progettano, in un ambiente che favorisce il crollo intellettivo.

Milioni di individui instabili, incapaci di comprendere un testo, di far di conto, cittadini elettori che escono da case soffocanti, scuole asfissianti, ambienti di lavoro ammorbanti. Che si incazzano per un nulla. Che sbarellano con un battito di ciglio.

Mi preoccupa l’isolamento forzato pandemico perché, soprattutto, incrementa un ristagno di pensieri.

La rinuncia all’ora d’aria, passeggiare per vie inquinate da ogni tipo di veleno, vivere di libertà condizionate inseguendo stili di vita sempre più impattanti.

Mi preoccupa la deriva ebete, di chi vuole difendere una libertà che, fino ad ora, è stata solo una condanna alla deficienza.

Mi preoccupa un mondo diviso tra masse instabili ed élite, sempre più esigue, di intellettuali illuminati. A dilagare è sempre più l’idiozia che sta inondando anche i deboli prati delle scienze.

La pandemia può renderci migliori solo se comprendiamo che non di libertà di massacrare il mondo abbiamo bisogno ma di aria salubre, ambienti areati. “Ossigenare per non morire coglioni”, questo dovrebbero, anche, dirci i dpcm e le norme anticovid.

C’è un bellissimo saggio di Giulio Cesare Vanini, il filosofo salentino giustiziato a Tolosa il 6 Febbraio del 1619, prima che gli staccassero la lingua, prima che lo impiccassero, prima che lo bruciassero, scrisse un “Piccolo catechismo per atei”, dal titolo suggestivo “Morire allegramente da filosofi”. 

Abbiamo un destino ineluttabile, tutti. 

Ma possiamo decidere se morire da filosofi o da completi deficienti.

Tutto muore, persino le religioni. “Ogni religione- ci dice Vanini- fa mostra di miracoli alla sua nascita e alla sua morte, ma non verso la metà della sua esistenza”.

Siamo nel bel mezzo del cammino. Ancora per quanto?

Per quel che riguarda me, sceglierei di farmi strappare la lingua e morire impiccato, felicemente bruciato piuttosto che vivere circondato da follia distruttiva, odio e ostilità, incomprensione e delirio multipolare, irrazionalità e stupro ambientale. 

Meglio felici che stolti, meglio nel fuoco della storia che complici dell’assassinio della nostra casa comune: la terra.