IL SIMPOSIO. di Gino Santoro

Personaggi e interpreti.

Amleto, il sofista: Gino Santoro

Massimo, il Crapulone: Massimo Melillo

Rina, la Gastronoma: Rina Durante

Giocastra, la romantica: Giovanna Giungato

Turista: Dovi Maradei e consorte

 

 

 

Amleto, il Sofista. Non so se ci avete mai fatto caso: le parole si dispongono nel mondo come a disegnare delle strade. Una volta imboccato un percorso è molto difficile incontrare parole che fanno parte di altri percorsi. Ma quando questo si verifica possiamo assistere a curiosi cortocircuiti, oppure possono emergere parentele che mai avremmo potuto immaginare.

Massimo, il Crapulone. Questi ragionamenti prima delle orecchiette e dei pezzetti di cavallo, io proprio non li sopporto!

Rina, la Gastronoma. Io mi ordino le sagne con la ricotta forte e li turcinieddhi. Sembrano proprio fatti con le interiora del capretto. Non capisco, però, dove vuoi arrivare con questo discorso sulle parole e sulle strade

Amleto, il Sofista. Pensavo alla parola ‘alimentazione’ e alla parola ‘teatro’. Sembrano appartenere a strade diverse, invece sicuramente s’incontrano nel piatto di turcinieddhi che hai ordinato.

Rina, la Gastronoma. Ti riferisci al sacrificio del capro in onore di Dioniso nell’antica Grecia?

Massimo, il Crapulone. Dioniso era anche il dio del vino e se questo figlio di buona mamma del cameriere non mi porta il rosso di Copertino che ho chiesto mi alzo e me ne vado! Ma è vero che i banchetti nell’antica Grecia cominciavano con i brindisi in onore di Dioniso?

Amleto, il Sofista. Devi tener presente che noi traduciamo il termine ‘symposion’ con ‘banchetto’; in realtà la traduzione letterale del termine è  “riunione di bevitori”. In effetti il banchetto veniva aperto da una bevuta di vino puro accompagnata da brindisi in onore degli dei e, in particolare, di Dioniso. Si spargeva poi qualche goccia di vino per terra e si continuava ad invocare il nome del dio. Spesso gli uomini, ma l’usanza è confermata anche per i banchetti riservati alle donne, si divertivano col gioco del ‘cottabo’: ciascun invitato si sceglieva un bersaglio e cercava di colpirlo col residuo di vino rimasto sul fondo della coppa dopo la bevuta. Se il lancio andava a segno se ne deduceva che la fanciulla (o il giovane) invocata durante il lancio avrebbe corrisposto i desideri del lanciatore. Senofonte nel secondo libro delle “Elleniche” ci racconta che Teramene, dopo aver subito l’onta dell’arresto durante lo svolgimento del consiglio, venne condannato da Crizia a bere la cicuta. Quando finì di bere il veleno lanciò l’ultima goccia, come nel gioco del ‘cottabo’, dicendo:” Alla salute di Crizia!”. Gli amanti giocavano col vino, i tiranni e le loro vittime col veleno!

Rina, la Gastronoma. Probabilmente, però, il rapporto fra teatro e alimentazione è rintracciabile con maggiore chiarezza nell’uso di chiamare delle compagnie di attori per intrattenere i convitati durante il banchetto. Mi pare che proprio Senofonte nel “Simposio” racconti dell’arrivo, durante il banchetto nella casa di Callia, del buffone Filippo accompagnato da uno schiavo. I numeri del buffone non riescono a far divertire gli invitati, ma sopraggiunge un battelliere siracusano che offre uno spettacolo (comos) di musica, danza, acrobazia e mimo. Insomma, mangiavano, ma si sapevano anche divertire.

Amleto, il Sofista. In effetti, il mangiare, bere, la musica, la danza, il gioco e la discussione che spesso verteva su argomenti molto complessi s’intrecciavano strettamente nelle varie fasi del banchetto. Nel caso del racconto di Senofonte questo intreccio è particolarmente evidente. Infatti la compagnia del siracusano, composta da una suonatrice di oboe, da una danzatrice-acrobata e da un ragazzo che danzava e suonava la cetra inizia il suo spettacolo con un concerto di cetra e oboe. Seguono alcuni numeri di danza con i cerchi e con le spade e, dopo l’esibizione del giovane danzatore, Socrate tesse le lodi della ginnastica ritmica. Il filosofo finisce col confessare che anche lui avrebbe voluto dedicarsi a quell’attività, se non altro per ridurre a proporzioni più accettabili la sua pancia. Lo spettacolo continua con la parodia dei danzatori da parte del buffone Filippo. Socrate chiede, quindi, a tutti gli invitati di bere con grande moderazione e imposta l’argomento della discussione: qual’è l’arte che ha maggior valore per gli uomini? Un nuovo numero di danza e acrobazia viene interrotto dal filosofo preoccupato che le evoluzioni su di un tornio da vasaio da parte degli attori finissero in un incidente.

Massimo, il Crapulone. Ma la storia non finisce qui. O pensate che solamente voi conoscete la cultura greca? E’ vero che il banchetto può essere considerato il punto d’incontro fra l’alimentazione e il teatro, ma vi state dimenticando che il tema centrale tanto del “Simposio” di Senofonte che di quello di Platone è l’amore; e non solo quello di cui discutono gl’invitati. Dopo la sottile discussione, infatti, ritornano in scena il giovane e la giovane danzatrice. Mimano la storia d’amore fra Dioniso e Arianna accompagnati dal suono dell’oboe: << I due attori sembravano due amanti impazienti di soddisfare l’amore che da lungo tempo li sollecitava. A vederli tenersi strettamente abbracciati, come si apprestassero ad andare insieme a letto, i convitati celibi giurarono di sposarsi entro breve tempo e quelli che lo erano già balzarono a cavallo e galopparono dalle loro spose per godere di loro.>>. Altro che amore platonico! Io credo che dietro ogni sofisticheria intellettuale c’è sempre qualche cosa che ha a che fare con la pappa e con la pippa. Per esempio in questa trattoria hanno il vizio di non portarti nulla da spiluccare mentre aspetti quello che hai ordinato. Invece io apprezzo molto la trovata di Mario, l’egiziano che mentre aspetti ti porta la focaccetta all’egiziana e tutti quegli altri stuzzichini.

Rina, la Gastronoma. A proposito ti risulta che nella cultura egiziana ci sia qualche cosa che confermi il rapporto fra teatro e alimentazione?

(1. Continua)

Massimo, il Crapulone. Tirate le ancore dei vostri sondaggi culturali e aprite i boccaporti ! Arriva la pasta! Tu che cosa hai ordinato?

Amleto, il Sofista. Niente. Se mai assaggio dal piatto di Rina.

Massimo, il Crapulone. A me la gente che parla di cucina e non mangia, non mi convince – sulle orecchiette: un cucchiaio di ricotta forte, una croce di olio santo e pecorino a strafottere – mi fa pensare a quelli che straparlano di sesso e poi…

Rina, la Gastronoma. Ti avevo chiesto del rapporto fra il teatro e l’alimentazione nella cultura egiziana. Visto che non devi mangiare…

Amleto, il Sofista. Sicuramente è possibile recuperare questo rapporto anche nella cultura egiziana; è necessario, però, comprendere nel concetto di teatro anche quelle pratiche rituali legate a manifestazioni religiose. Il Papiro drammatico del Ramasseo (1980-1935 a.C.) insieme al testo di Sabacon (2500 a.C.) e al Libro dell’apertura della bocca sono i documenti più antichi dell’attività drammatica nel mondo occidentale. Caratteristica comune di questi documenti è l’indicazione, non solamente del personaggio che parla, ma anche di quello a cui viene rivolta la battuta, nonché degli oggetti di scena. Se il cameriere mi porta un foglio e una matita vi posso mostrare com’era costruito il Papiro drammatico del Ramasseo.

Rina, la Gastronoma. Forse è meglio se ti fai portare un piatto se vuoi assaggiare le mie sagne ncannulate.

Massimo, il Crapulone. Se vuole farci vedere com’era fatto il papiro…le sagne puoi passarle a me.

Amleto, il Sofista. (Mostrando il foglietto)

[testo]

Amleto, il Sofista. Come potete vedere: sulla prima colonna a sinistra era indicato il dio (o meglio il sacerdote che interpretava la parte del dio), che compie l’azione; nella colonna centrale era indicato il personaggio a cui è rivolta l’azione e, nella colonna a destra erano indicati gli oggetti necessari allo svolgimento del rituale. Probabilmente questo testo si riferisce al cerimoniale di Sesostri I e, come avete notato, viene descritto in modo particolarmente minuzioso il sacrificio di un’oca e di un vitello (il dio Seth) e le offerte al dio Horus (il faraone), nei pressi della colonna sacra (Osiride). Un banchetto rituale, dunque, intorno al quale ruota uno dei documenti più antichi dell’attività teatrale presso gli Egiziani.

Massimo, il Crapulone. Quello che non riesco a capire è proprio il legame tra l’alimentazione e la sacralità. In fondo il mangiare è un bisogno primario che non credo abbia bisogno di giustificazioni.

Rina, la Gastronoma. Il fatto è che noi ci dimentichiamo che il mangiare è strettamente connesso con la vita e con la morte. La vita di chi mangia e la morte di chi viene mangiato.

Amleto, il Sofista. In effetti questo legame può essere confermato dalla credenza da parte degli antichi egiziani che la vita poteva continuare nell’altro mondo solo se al defunto veniva garantita la funzionalità della bocca.

Massimo, il Crapulone. Questo spiega anche le offerte di cibo ai defunti e l’abitudine, ancora viva da noi de “lu cunsulu”. Solo che noi siamo più pratici: invece di offrire cibo ai defunti, lo offriamo ai parenti.

 Rina, la Gastronoma. In che cosa consisteva il rito dell’apertura della bocca di cui parlavi?

 Amleto, il Sofista. Il rito aveva la funzione di restituire al defunto la possibilità di usare la bocca per alimentarsi anche nel mondo dell’oltre tomba e prevedeva un cerimoniale assai complesso: il viaggio su di una barca, le abluzioni di acqua e soda nella “tenda della purificazione”, l’imbalsamazione, il ritorno alla “tenda della purificazione”, le offerte al defunto, la chiusura nel sarcofago. Anche in questo documento le cerimonie del sacrificio e del banchetto rituali assumono una posizione centrale:

Il sacerdote impone la mano a un bue maschio del sud: il sacrificatore gli sta sopra, gli taglia una coscia e gli strappa il cuore. La piangente anziana intanto dice agli orecchi:

(PIANGENTE) Il tuo labbro è fatto per te,

         la tua bocca è aperta.

Il sacerdote conduce due gazzelle e ne taglia il capo:

porta una colomba e ne taglia il capo.

Le diverse parti degli animali sacrificati vengono offerti alla mummia e il sacerdote conclude con la formula: Stringi la tua bocca e io la equilibro in armonia con i tuoi denti. O NN, io ho aperto la tua bocca con la coscia offerta.

Massimo, il Crapulone. Naturalmente la mummia non poteva mangiare e così i sacerdoti si assicuravano lo spuntino. Anche se non doveva essere molto allegro banchettare nei posti dove si procedeva alla mummificazione dei cadaveri.

Rina, la Gastronoma. Questo sembrerebbe un’occasione rituale molto riservata. Non esistevano occasioni festive più aperte?

Amleto, il Sofista. Il motivo del banchetto rituale domina in modo molto più spettacolare negli undici bassorilievi separati da colonne di geroglifici scolpiti sulla facciata interna del tempio di Horus a Edfu. Due egittologi inglesi, Blackam e Fairman, hanno sostenuto si tratti di un dramma sacro rappresentato durante le feste in onore di Horus. Il testo, ricostruito con grande difficoltà da Drioton pochi anni fa, presenta espliciti riferimenti al rito durante il quale Horus, o l’attore, o il sacerdote che lo interpretava, trafiggeva con una lancia una forma di pasta a forma di ippopotamo (lo zio Seth, uccisore di Osiride), la tagliava in vari pezzi e questi venivano portati sugli altari dedicati a diversi dei. La storia era conclusa da Iside che si rivolge al figlio Horus con queste parole:

Poichè tu tagli a pezzi il tuo grosso ippopotamo, vieni presto, verso di me, avvicinati a me, che io ti consigli. Io ti dico: fai portare la sua zampa anteriore a Busiris per tuo padre Osiride Onnofris, giustificato. Manda le sue coste a Iait, per Haroeris, che governa a Letopoli, e lascia la sua zampa di dietro a This per il suo bisavolo Onuris[…] Dà le sue ossa ai felini e il suo grasso ai vermi, il suo lardo ai figli dei pescatori armati di fiocine perché essi conoscano il sapore della sua carne, tutta la sua testa ai loro figli, perché apprezzino l’eleganza della sua forma, le estremità ai tuoi seguaci perché conoscano il sapore della sua carne.Che essi esaltino la tua fiocina, la quale è, Horus figlio mio, la fiocina del dio ficcata in lui, in questo nemico di tuo padre Osiride.

Massimo, il Crapulone. E così abbiamo scoperto che la pizza non è un’invenzione napoletana, ma addirittura egiziana!

Rina, la Gastronoma. Se è per questo anche le “panareddhe” o le “cuddhure”, che si preparano qui nel periodo di Pasqua, prendono la forma di animali simbolici: l’agnello e il pesce. Oltre al paniere che richiama la cornucopia dell’abbondanza. C’è anche una canzone in dialetto che collega il paniere all’abbondanza:<<Cala, cala panarinu, quante cose t’haggiu dare/ t’haggiu dare nna pira, nna mila, nna pernacocchia e nna persicà.>>.

Massimo, il Crapulone. Continua a non essermi ancora chiaro il rapporto fra alimentazione e sacro…Ma rinuncio alla spiegazione perché arrivano belli e fumanti pezzetti e turcinieddhi e, come dicevano gli antichi saggi:<<quiddhu ca te minti a nnanti, nu lu spartire nè cu amici nè cu amanti.>>.

(continua 2.)

Un turista. Scusate se disturbo. Ma ho ascoltato involontariamente i vostri discorsi e mi sono convinto che forse soltanto voi potete soddisfare alcune mie curiosità. Non volevo importunarvi, mia moglie però mi ha incoraggiato ad approfittare della proverbiale gentilezza dei salentini…e così ho aspettato la fine della cena per avvicinarmi.

Rina, la Gastronoma. ‘gentilezza’, ‘gentile’, che appartengono alla stessa schiatta o, nell’accezione di straniero, pagano…forse l’una e l’altra.

Un turista. Io, veramente, non intendevo offendere nessuno. Se questo è accaduto esprimo tutto il mio rincrescimento, porgo le mie scuse e tolgo il disturbo.

Amleto, il Sofista. C’è stato un equivoco: nessuno ha ricevuto offesa e nessuno ha provocato offesa. La professoressa si riferiva all’etimologia della parola. Può accomodarsi al nostro tavolo e l’invito è esteso anche alla sua signora.

Massimo, il Crapulone. Potete fare tutte le domande che volete. I miei amici sono due enciclopedie viventi. Siete torinesi? Allora di Bologna…di Siena?…di Venezia…ah, di Ferrara! Sapete è la prima volta che non la becco al primo colpo. A questi signori bisogna far assaggiare qualche vino extra. Che ne dite di un bel Rosa del Golfo ghiacciato? Cameriere un Rosa del Golfo ghiacciato e, giacchè ti trovi, porta anche una porzioncina abbondante di moniceddhi mpannati e arrostiti. Mi raccomando, coperti di pepe!

Rina, la Gastronoma. Il nostro amico, invece, è un pozzo senza fondo. Io mangerei un pò di subbrataula: cicoria, finocchio, sedano. Legano meglio col vino. Ma volevate sapere qualcosa di particolare sulla nostra cucina?

La moglie del turista. Abbiamo sentito parlare del ‘cunsulu’, cioè della tradizione di offrire il pranzo ai parenti di un defunto. Ci era parsa una pratica molto strana, poi abbiamo ascoltato i vostri discorsi e ci siamo chiesti se esisteva una qualche relazione col banchetto sacrificale. Ecco volevamo avere qualche informazione più precisa.

Rina, la Gastronoma. Il termine dialettale deriva, probabilmente, dal latino con – solari, provvedere insieme, interamente; far dimenticare qualcuno o qualcosa. Costituisce una parte fondamentale dei riti legati alla morte. Ma forse Amleto può dirvi qualcosa di più.

Amleto, il Sofista. E’ noto che l’evento luttuoso costituisce un momento di grave crisi. Una crisi che rischia di coinvolgere in modo irreparabile i vivi. Per evitare questo il compito principale dei vivi è quello di riparare la lacerazione, ricomporre la crisi. Come affermava De Martino in Morte e pianto rituale: i vivi devono far morire la morte. La prima fase di questo processo è costituita proprio dal ‘pianto rituale’.

Massimo, il Crapulone. Nei paesi di lingua grecanica forse esistono ancora le “prefiche”. Donne che piangono i morti a pagamento. Vi consiglio comunque, a proposito di pianti, di assaggiare la ‘lacrima’ della nostra ‘malvasia’: lu chiantu te la ua dduma lu risu a ci lu prua. Traduco per i gentili, anche nel senso di ‘stranieri’, nostri ospiti: il pianto dell’uva accende il riso a chi lo prova.

Un turista. Ci hanno parlato anche delle ‘prefiche’, ma ci hanno anche detto che oramai non esistono più. Non vogliamo, comunque, costringervi a parlare di argomenti poco adatti al dopo cena.

Massimo, il Crapulone. No problem! A me questi discorsi stanno riaprendo lo stomaco.

Amleto, il Sofista. La morte apre in qualche modo la porta al caos. Rina, come si dice in dialetto ?

Rina, la Gastronoma. Lu jentu rèfulu, il vento senza direzione che si avvita su se stesso e compare senza preavviso.

Amleto, il Sofista. La reazione all’irruzione del caos è la disperazione, i movimenti convulsi, le urla scomposte, il pianto disordinato. Il pianto rituale, quello delle prefiche, ma anche quello non a pagamento delle vicine, induce ordine, si poggia su di un ritmo preciso, richiama altri pianti, si distende nel canto. E poi racconta la vita del defunto, la sistema nel tempo, la scandisce in episodi significativi.

Rina, la Gastronoma. Non è un caso che alcuni elementi di questa fase compaiono anche nel rituale del tarantismo: il fazzoletto bianco, il movimento autistico, il battere dei piedi. Ma qui il discorso ci porterebbe troppo lontano.

La moglie del turista. Mi piacerebbe molto sapere qualcosa di più sul tarantismo. Vi sembrerò sfacciata, ma se siete d’accordo e non avete altri impegni, domani sera potremmo andare a cena insieme.

Massimo, Il Crapulone. Non c’è impegno che tenga di fronte ad un invito a cena. Siamo dei vostri!

(continua 3.)

La moglie del turista. Prima di aprire il discorso sul tarantismo a mio marito farebbe piacere che si concludesse il discorso di ieri sera sul ‘cùnsulu’.

Massimo, il Crapulone. Prima di aprire qualsiasi discorso è indispensabile aprire le trattative con Uccio, il quale le aprirà col cameriere, che a sua volta le aprirà col cuoco. Lui vi ha promesso che vi suonerà una ” pizzica, pizzica” col suo tamburello insanguinato, ma se i colpi di tamburello ci rintronano nello stomaco vuoto voi rischiate la taranta e io il ricovero in rianimazione. Uccio, un paio di flebo di niurumaru te Pasulu!

Giocasta, la romantica. Ti prego, non usare questo tono, sembri un ubriacone di paese!

Massimo, il Crapulone. Vedete? Avevano ragione i nostri antenati greci: banchetti riservati agli uomini e banchetti riservati alle donne ! Non si comincia una cena senza brindare al dio del vino. Tuttavia per ritornare alla vostra disquisizione sul ‘cùnsulu’: “nu ncete sposaliziu senza chianti, nè cùnsulu senza risi”. Traduco aggratis per gli ospiti :”Non esiste matrimonio senza pianti, nè banchetto funebre senza risate.”.

Amleto, il Sofista. In effetti il proverbio sintetizza perfettamente il senso del banchetto funebre. Una volta restaurato l’ordine attraverso le diverse fasi del pianto rituale, occorre dissolvere in modo definitivo le conseguenze della morte. I parenti del defunto devono far morire la morte. E la uccidono per mezzo di un banchetto particolarmente abbondante e vario e innestando progressivamente il riso sul pianto. ‘Progressivamente’ significa che non si possono saltare i passaggi.

Rina, la Gastronoma. In pratica significa che le varie ‘portate’ del banchetto vengono accompagnate da comportamente adeguati e definiti. Si comincia col ‘rifiuto’. Alla persona che è stata colpita dal lutto viene offerto da bere del vino. Questa rifiuta ostinatamente.

Massimo, il Crapulone. Perchè non fate vedere quello che succede? Tanto il vino è arrivato!

Giocasta, la Romantica. Ci manca solo che facciamo spettacolo! Anche qui ci dobbiamo far conoscere? Eppoi, non mi sembra il caso di prendere in giro delle cose così delicate!

Amleto, il Sofista. A dire la verità qui ci conoscono anche troppo; e per la questione del prendere in giro, non mi pare che ci sia questa atteggiamento da parte di nessuno di noi. Io sono disposto a fare la mia parte. (Riempie il bicchiere e lo offre ad Rina)-parlo in italiano così capiscono tutti- “Tieni bevi un poco di vino, che a furia di piangere ti si è seccata la gola!

Rina, la Gastronoma. None, none nu mme fitu-ah, in italiano!- No, no non sono capace, non ho la forza per bere- in genere qui viene emesso un grido molto acuto e la persona prova a ricominciare il reputo, il pianto funebre. Questo è un passaggio molto delicato che di norma viene risolto con l’intervento di tutti i presenti che cercano di spostare l’attenzione della persona colpita dal lutto su problemi molto semplici e concreti. Per esempio le chiedono dove sono le forchette o i bicchieri o il sale. Si riprova col vino.

Amleto, il Sofista. Dai, bevi che è pronta la pasta!

Rina, la Gastronoma. Non me la sento di mangiare, nu mme fitu. Chi manca? A questa tavola manca qualcuno.(Si riferisce al defunto, naturalmente.) Non voglio mangiare da sola!

Amleto, il Sofista. (Insistendo col bicchiere di vino)Hai ragione, hai ragione, non devi mangiare; bevi solo una goccia di vino. (mette in mano il bicchiere a Rina e l’aiuta a portarlo alla bocca) Sono due giorni e una notte che piangi, senza un attimo di riposo. La persona a questo punto assaggia il vino e, dopo una certa insistenza, svuota l’intero bicchiere.

Massimo, il Crapulone. Alla salute! Il vino, come dice la canzone, guarisce tutti i mali.(canta) Tanti biccheri te mieru me biu tanti pinsieri te capu me lleu. (beve) Traduco per l’ultima volta: Tanti bicchieri di vino io bevo, tanti pensieri dalla testa mi levo. E’ bella pure quella strofa che dice: Se quannu moriu cheu au mparatisu, se nu nce mieru bonu nu nci trasu.

Giocasta, la Romantica. Non credo che per te ci sia posto in paradiso! Forse però è meglio ordinare qualcosa. Vedo Uccio che si sta armando di chitarra.

Massimo, il Crapulone. Taci, miscredente! Qui non c’è bisogno di ordinare. Uccio ha già provveduto ad allertare la cucina: rape nfucate cu lu pipitialu, paparine cu li pummitori, marangiane fritte, pummitori alla turiddha…

Un turista. Piano, piano io non sto capendo un’ostia!

Massimo, il Crapulone. Assolutamente ininfluente. Basta assaggiare!

Rina, la Gastronoma. Se ho capito bene siete tutti interessati a cose ben diverse dei discorsi sul cùnsulu?

Un turista. Assolutamente, no!

La moglie del turista. Mi piacerebbe invece sapere come va a finire…

Massimo, il Crapulone. A tarallucci e vino…

Giocasta, la Romantica. In effetti non è che siano discorsi molto allegri!

Amleto, il Sofista. Invece stava per cominciare proprio la parte allegra. Magari puoi fare tu una sintesi del resto del banchetto.

Rina, la Gastronoma. D’accordo. Tanto se non dò io il via libera ad Uccio su questo tavolo non arriva nemmeno una briciola di pane.

Massimo, il Crapulone. Infame ricattatrice! Cedo solamente perchè ci sono ospiti, ma se fra cinque minuti cinque non parte la mangiatoria io emigro direttamente in cucina!

Rina, la Gastronoma. Allora, dopo il primo bicchiere di vino, il processo di riconciliazione con la vita prende una via tutta in discesa. Il parente che ha preparato le varie portate del banchetto fa notare che il vino è particolarmente robusto e, pertanto, incompatibile con uno stomaco vuoto. Offre con indifferenza qualcosa, per esempio delle ‘pittule’ con la giustificazione che servono a far ‘appoggiare’ il vino. Un altro degli invitati, contemporaneamente, ricorda a tutti i presenti che il defunto è stato adeguatamente onorato. Apprezza il vestito che indossava, la qualità della bara, gli addobbi, le corone, il pianto dei congiunti, il corteo ecc. Poi, come per caso, lancia una frase del tipo:”Certamente se invece che a lui (lei) fosse toccato a te, lui (lei) ti avrebbe riservato gli stessi onori.”. Nel frattempo la tazza di brodo fumante ha stimolato l’appetito e anche lo stomaco più chiuso è diventato una voragine.

Massimo, il Crapulone. Il mio, oramai, è più spalancato della bocca dell’inferno! Ti restano due minuti e mezzo.

Rina, la Gastronoma. Se non m’interrompete, me ne bastano due per finire. A questo punto, partono i primi: ciciri e tria, riccheddhe e maccarruni cu la ricotta forte, cocule a lu furnu ecc., mentre il vino condisce il tutto e aiuta a far fermentare i ricordi allegri. Qualcuno dice che allorquando veniva pianto/cantato il defunto più di una volta si è esagerato:” Per essere era bello, però, insomma, aveva un poco la faccia di porco.” I secondi: auniceddhu mpanatu o cu li pampasciuni, turcinieddhi, o rascia a brudettu ecc. vengono consumati in un’atmosfera che sta tra la commedia e la farsa. Il tutto viene concluso con l’immancabile ‘subbrataula’ e sigillato con taraddhi, fae, ciciri e…mieru. Possiamo dare inizio alle danze!

La moglie del turista. E il teatro? Voglio dire: il rapporto profondo tra alimentazione e teatro di cui parlavate ieri sera quando ci siamo conosciuti?

Amleto, il Sofista. Mettiamola in questi termini: in principio era il riflesso alimentare. L’impossibilità di soddisfare immediatamente questo bisogno primario crea il tempo dell’attesa e determina le condizioni della rappresentazione. Penso alle danze che precedono la battuta di caccia. Il banchetto rituale distende il riflesso alimentare in un tempo addomesticato. Lo racconta. Costruisce l’inizio e la fine, il prima e il dopo, il cambiamento e la persistenza. Stacca il tempo festivo dal tempo quotidiano. Il teatro si costituisce come fase terminale di questo processo. Si attiva a ridosso del banchetto rituale, ma all’interno della cornice del tempo non quotidiano.

Massimo, il Crapulone. Questo piatto di ‘melanzane a fungitielli’ è un Prologo straordinario per lo spettacolo di questa cena.