He Lived Here * Ricordando Stephen Hawking

Strano risveglio oggi. Stephen Hawking, sfuggito ad una infausta diagnosi a 21 anni, e diversi fatali interventi, se n’è andato.

Gli amici di Oistros mi chiedono un ricordo, e lo scrivo così, a caldo. Altrimenti non potrei.

La mia generazione è cresciuta con tormentoni del tipo “dov’eri quando è morto John Lennon?”, oppure “Dove ti trovavi quando ci fu l’attentato al Giudice Falcone?”. Credo che la morte di Stephen Hawking genererà domande simili in futuro. E come è stato detto per Einstein, “He lived here”. Non mi riferisco soltanto alla potente proiezione mediatica della sua figura e del suo lavoro. Tutti abbiamo ammirato le interpretazioni di Eddie Redmayne ne La Teoria del Tutto e prima di lui di  Benedict Cumberbatch in Hawking; tutti sappiamo qualcosa sui buchi neri e sulla loro radiazione; e Breve Storia del Tempo è sicuramente uno dei libri di maggior successo della storia.  E’ un altro il motivo per cui la morte di Stephen resterà nella mente di tutti noi. Per un volta almeno quell’immagine mediatica era davvero   l’uomo dietro ed oltre la notizia. C’erano in lui uno spessore ed un’intensità che avvertivi sempre, qualcosa di inconfondibile tra il luccichio degli occhi e le righe degli articoli più tecnici. Intensità, passione, una rarissima onestà intellettuale ed un’ironia che era riuscito a trasformare in stile di vita. Diceva Einstein che agli occhi dell’epistemologo il fisico teorico non può che apparire un opportunista senza scrupoli. Questo perché il buon fisico usa degli strumenti ben precisi, nel caso del teorico è la matematica, e non forza le interpretazioni, non si affanna a dare una cornice  al risultato offrendo una caricatura del filosofo. In questo Hawking era forse il più laico tra gli scienziati. Non aveva sposato alcuna teoria, ma le corteggiava tutte, proprio come non negava mai ad un bella donna un sorriso. Si chiedeva fin dove ogni teoria poteva portarci, cosa potevamo dire effettivamente dell’universo. E tra le cose che gli hanno dato fama imperitura ci sono due problemi che stanno davvero ai confini  estremi della conoscenza. Una riguarda lo stato finale delle stelle massive, i famosi Black Holes, che secondo la teoria di Einstein dovrebbero entrare nell’ultima fase del loro ciclo in un collasso infinito, una singolarità. La cosa era già stata vista da Laplace, poi da Oppenheimer e Landau fino  Wheeler ed il suo maestro Sciama. Ma nessuno aveva esplorato la singolarità come Hawking. Quest’ultima si aggirò come un mostro tra riviste specializzate e giornali per qualche anno , ma si capì poi grazie al lavoro di Hawking e Penrose, che si trattava di un limite strutturale della gravitazione di Einstein, e che questa avrebbe dovuto lasciare il posto ad un nuova teoria, la gravità quantistica, tutt’ora terreno di frontiera della fisica teorica. E fu proprio Stephen Hawking a stabilire alcune pietre miliari di questa nuova area, la radiazione di Buco nero (lo spazio tempo estremamente curvato intorno al buco nero diventa instabile ed emette una caratteristica radiazione fatta di oggetti quantistici), e l’analisi informazionale di un Buco Nero. La formula di Hawking- Bekenstein ci dice quanta informazione racchiude un sistema fisico. Ma i buchi neri furono soltanto un esercizio, perché adesso Stephen era pronto a guardare alla singolarità più misteriosa, il big bang. E fu intorno gli anni ’80 che con Jim Hartle propose l’universo senza bordi, un termine affascinante che possiamo tradurre grossolanamente dicendo che lo spazio ed il tempo si sono formati da una nebulosità quantistica, qualcosa di simile all’universo di Nicola Cusano, dove non c’è un prima né un dopo, dove ogni punto è il centro. O per essere un po’ più tecnici, dove il tempo è curvo e immaginario, prima di collassare in ciò che noi vediamo e che a grandi linee  è descritto dal Modello Standard.

Come tutti i fisici, mi è capitato un gran numero di volte di citare Stephen, ed ogni volta è stata un’occasione per rileggere i suoi lavori. Ammiravo la su capacità di costruire attorno ad un’idea forte un castello apparentemente impenetrabile di matematica. Sarebbe stato un ottimo scacchista. Dico “apparentemente” perché Hawking sapeva benissimo che la matematica era un forma sublime di retorica e poteva sempre essere attaccata, o smontata. O ricostruita da zero. Ciò che davvero fa la differenza per una teoria fisica sono la generalità e la solidità dei suoi punti di partenza. Così ci si trovava a volte nella condizione di individuare una debolezza nell’impostazione di Stephen (furbo, molto sottile!), ma allo stesso tempo di verificare quanto la domanda era posta con assoluta chiarezza e sarebbe stato assai difficile fare meglio.  Dalla teoria di Hartle – Hawking con Leonardo Chiatti abbiamo preso le mosse per sviluppare l’idea dell’ Universo Arcaico, e recentemente con Fabrizio Tamburini e Maria Felicia de Laurentis abbiamo scoperto un modo particolare della radiazione di Hawking, quello che viene chiamato soft hairs. C’è un solo caso in cui Hawking ha ammesso la sconfitta, davanti al giovane Don Page sulla fine dell’universo, ossia sulla possibilità che l’intera funzione d’onda dell’universo si riavvolga per tornare alle origini. Anche lì credo ci sia stato, come con Kip Thorne qualche anno prima sulla possibilità di scoprire un Buco Nero in Cygnus X-1 , un pegno pagato con un abbonamento ad un rivista ( nel caso di Kip  fu  un anno di Playboy). Personalmente credo che l’idea di Hawking è ben salda, e dunque non è detta l’ultima parola.

Forse pochi sanno che esiste un bel lavoro teatrale sulla vita di Stephen Hawking e sulla sua lotta con la malattia e  con i più grandi misteri dell’universo. E’ di Robin Hawdon, ed è scritto in stato di grazia, pervaso da quello stesso humor che era la cifra irriducibile di Stephen. In Italia non è mai stato rappresentato in versione integrale, ma è stato possibile apprezzarne una versione ridotta con la regia di Alessandro Gassman qualche anno fa. I miei amici di Oistros si nutrono delle idee di questo grande Theatrum Mundi che è la storia umana, ed è per questo che vorrei evitare ogni retorica, lasciando la parola finale ad un personaggio della commedia ( o tragedia?)  che emerge naturalmente, direi per contrasto, dalla ricerca di Stephen. Era impossibile togliergli la parola, ma credo che stavolta anche lui apprezzerebbe.

STEPHEN:  Ma io so che c’è, inerente all’infinito esperimento dell’Universo. Una soluzione che – a differenza di tutte le teorie metafisiche e i credi – finirà con il sembrare così ovvia… così evidente… che ci renderemo conto che è stata parte di noi tutti per tutto il tempo.

DIO:   Parte di te…

STEPHEN:  Ma io so che c’è, inerente all’infinito esperimento dell’Universo. Una soluzione che – a differenza di tutte le teorie metafisiche e i credi – finirà con il sembrare così ovvia… così evidente… che ci renderemo conto che è stata parte di noi tutti per tutto il tempo.

DIO: Parte di te…

Ma certo. Non credevate mica che l’avrei finita qui? A questo punto dovreste conoscermi meglio.

                   (Guarda nella direzione da cui si è allontanato STEPHEN)

L’ultima parola ce l’avrò io – qualunque cosa lui creda.

                   (Guarda di nuovo il pubblico)

Lasciate che vi offra una supposizione – al di là, forse – delle vostre fantasie più sfrenate. Supponete che lui e tutti i suoi colleghi geni abbiano ragione. Supponete che il vostro universo sia davvero auto-creantesi, e che sveli i suoi segreti nel corso di un infinito ciclo di anni e anni-luce. Supponete che l’uomo, la macchina, o qualche superintelligenza evoluta finisca con l’arrivare al non-limite finale dello spazio e del tempo. E poi?

                   (La proiezioni del cosmo gira e si espande)

Come abbiamo visto, l’universo non è quantificabile. La luce – lo spazio – il tempo – la materia – sono tutti concetti relativi. Tutti solo espressioni di un concetto basilare – l’energia. E cos’è l’energia? Semplicemente la pulsione ad essere.

                   (Pausa. Parla con deliberata lentezza)

Supponete perciò che la vita dell’Universo sia un’entità completa e totale. Che origina dal niente – si sforza di creare qualcosa – lottando attraverso tentativi ed errori per raggiungere prima il movimento, poi la materia, poi la vita, poi il pensiero, poi la conoscenza… finché finisce con il raggiungere l’obiettivo supremo del progresso…

(Le immagini del cosmo si unificano nella visione di una gigantesca spirale di galassie)

Completa il grande cerchio, e si evolve ritornando al nulla. Tranne che adesso il nulla è il raggiungimento finale del tutto. La conoscenza totale – in sé. La gioia totale – in sé. L’amore totale– in sé.

(Pausa. La spirale ruota e si dissolve in un infinito biancore accecante)

In altre parole… la perfezione.

(Pausa)

 In altre parole… me.

Sorride e se ne va)

[DIO E STEPHEN HAWKING di Robin Hawdon, Traduzione di Antonia Brancati]

Ciao Stephen!