ABITUDINI. (ovvero: quando ti chiedono di scrivere due righi per l’ennesima campagna di promozione della lettura e ti prende un po’ la mano)

Le seguo di mattina e mi accompagnano nel letto a sera.
Consuetudini. Rilassanti certezze. Rassicuranti momenti di familiare ovvietà. La sigaretta rullata con il filtro a destra è un’abitudine, il caffellatte solo dopo il caffè espresso, abitudine.

L’edicola al mattino, compro sempre tre quotidiani: abitudine. Credo me lo abbia insegnato mio padre, ai tempi delle medie. 
– Se vuoi contestare gli altri devi sapere almeno il doppio di loro- mi diceva.

L’ho preso in parola in un’estenuante aspirazione faustiana.

Il giornale locale. Per iniziare la giornata. Tanto lo so che arriverò all’ultima pagina deluso dai confini provinciali. 

Dunque… quello Nazionale. M’illudo: mi darà respiro. Oltre la provincia, oltre il vicino, il mondo inizia a mutare, penso. Ci scrivono le grandi penne della cultura nazionale, penso, esercizio per il pensiero, ripenso. 
Ossigeno, talvolta anidride carbonica, molto spesso monossido di carbonio… i pensieri possono collassare. E non penso più. 

Quello sportivo, allora. Non sempre, a dire il vero. Quando il Lecce perde è bandito. Detesto rimestare nelle delusioni. Quando tifi per una squadra del sud, s’impara a perdere, ma non s’impara mai a rileggere una sconfitta.

Nella borsa ci sono sempre almeno un paio di libri. Perché di realtà, alla fine, ci si annoia e poi si finisce con l’accettarla. Così com’è.

Sin da piccolo, ho sempre avuto voglia di sapere. Ora che sono cresciuto vorrei cominciare a dimenticare. Non è questo che differenzia i giovani dai vecchi? I giovani (non) vogliono sapere i vecchi (non) vogliono dimenticare.
Leggo finché non capita qualcosa di veramente brutto. Che altera la mia capacità (elevatissima) di astrazione. Sarei capace di leggere (e ricordare) un manuale di scacchi in mezzo ad una riunione, di quelle in cui ci si perde nei dettagli.

Si arrabbia spesso la mia compagna. – Non mi stai ascoltando?- dice.
– No –  rispondo, con infantile spensieratezza. Come se fosse una cosa di cui andar fiero: selezionare il massimo delle informazioni utili alla salute della mia immaginazione ed eliminare il rumore di sottofondo.
– Ma tu pensi, quindi, che le mie parole siano rumore di sottofondo?-.

Chiedo scusa per l’insensibilità palesata, ma sotto sotto sto pensando al suono del mondo da quando è nato a quando è stato calpestato. Penso ai silenzi che devono per forza aver respirato i grandi romanzi!
Sto viaggiando con la fantasia e, lei, mi ha mandato affanculo, mi porge la bottiglia di salsa tappata troppo forte e dice: – apri! o se no continua a leggere e mangi sti c….

Ultimamente (l’età? la stanchezza? il momento? ) mi capita di arrivare a fine giornata con i giornali intonsi, immacolati. Non letti, non sfogliati. Ripiegati come panini farciti di innumerevoli supplementi al supplemento.
I libri, invece, scendono giù che è una bellezza.
Cohen, l’ultimo, Il libro dei numeri. 700 pagine di puro genio. Che stile! Sciabolate di parole.

E, mentre penso, guardo i giornali del giorno ed è già sera, quasi notte. Chissà cos’altro sarà successo nel frattempo, mentre inseguivo le pagine di Joshua Cohen. 
Afferro i quotidiani e inizio a sfogliare, sempre più velocemente. I titoli, i sottotitoli, gli occhielli, poi via occhielli e sottotitoli. Solo i titoli… sempre più freneticamente. Orami il giornale è divenuto un ventaglio. Vento senza parole.
Come si sono fatti brutti i giornali! Specchio perfetto di un mondo imbruttito in cui accadono infinite cose (come da sempre) di cui non ce ne frega poi tanto. Un mondo fuori sincrono. Storie smozzicate, accennate, senza sviluppo e profondità. Copertine sbiadite.

Allora non li compro più i giornali, mi vorrei imporre.

Ma sono abitudinario e, per abitudine, li compro ogni giorno.Tranne quando perde il Lecce, quello sportivo no.
Leggo più forte e sfoglio veloce.
Leggo tutto, finché non tampono il rumore peggiore, il più urtante:
– Beato te che hai tempo per leggere…!- dice, con vocina stridula, l’immondo soggetto.

Sottintendendo che, il tempo per leggere, sia tempo sottratto alla Vita con V maiuscola, quella che vivono quelli che NON sono come te. O tempo aggiunto, che rubi a quelli che: “il tempo è denaro”.
– Per me ti puoi anche sparare!- qualche volta mi è capitato di dire.

Mi guardano, perlopiù frastornati, con la voglia di menarmi.
Se pensi di non avere il tempo per leggere, e tutta la tua esistenza è obbligata da tempi imposti; se non hai tempo per trovare il tempo… per me, cazzo, ti puoi anche sparare! Lascia spazio a qualcun altro, smetti di far rumore. Smetti di fracassare il mio tempo.

Ognuno, penso, ha il tempo che si merita.

Ed io ho quello delle abitudini.

Nuoto, perfettamente sincronizzato, nei miei pensieri.